PIETRO MECAROZZI
Cronaca

In carcere a 94 anni. “Cinque in cella, un solo bagno. Ho provato vergogna per il nostro sistema carcerario"

Renato Cacciapuoti racconta la sua detenzione nel penitenziario fiorentino. “Frutta e verdura al limite del marcio, le grida sono assordanti e il caldo insopportabile”

Renato Cacciapuoti, 94 anni, è tornato nella sua abitazione martedì (Foto Marco Mori/New Press Photo)

Renato Cacciapuoti, 94 anni, è tornato nella sua abitazione martedì (Foto Marco Mori/New Press Photo)

Firenze, 12 giugno 2025 – Difficilmente Renato Cacciapuoti, 94 anni, si dimenticherà dei sei giorni passati in una cella di Sollicciano. Giovedì scorso è stato prelevato da alcuni agenti di polizia da casa sua e trasferito al penitenziario fiorentino. È finito dietro le sbarre per una bancarotta fraudolenta, dopo il crac dell’Editoriale Olimpia, avvenuta tredici anni fa. Una condanna arrivata in primo grado a quattro anni e otto mesi, contro la quale era stato fatto appello nel 2021. La corte d’appello, però, l’anno scorso ha confermato la pena. Nessun ricorso in Cassazione e la pena è diventata definitiva.

Cacciapuoti, cosa ha provato?

“Vergogna, soprattutto per le condizioni in cui si trovano così tante persone”.

Dentro Sollicciano che situazione ha trovato?

“Caos, urla continue, si sentono le grida, tutti i giorni e tutto il giorno, dei detenuti che chiedono di poter parlare con le guardie. Il cibo è scadente, la frutta e la verdura al limite del marcio. L’unico spazio esterno accessibile, durante le visite, è un cortile di cemento di pochi metri quadrati”.

In che condizioni sono le celle e la struttura?

“I vetri sono tutti rotti o mal funzionanti e le finestre aperte a ogni ora del giorno. Nelle celle c’è un unico bagno in condizioni disastrose. Non c’è l’aria condizionata e ora che le temperature si alzano la situazione diventava al limite del sopportabile”.

Condivideva la cella con altri detenuti?

“Si con altri quattro detenuti, eravamo in cinque, con un solo bagno e senza bidet. Vi lascio immaginare le condizioni di igiene. L’unico modo per lavarsi è farsi la doccia, che è dentro il bagno, quindi ogni volta il pavimento si allaga completamente. Ho girato per giorni con le pantofole bagnate. Quasi tutti fumano dentro le celle”.

È riuscito a dormire in quelle cinque notti?

“Poco, anche a causa dei miei problemi fisici. I letti erano l’unica cosa decente e almeno le lenzuola mi venivano cambiate. Non so se avviene per tutti, ma almeno il letto era accettabile”.

Che trattamento le hanno riservato dentro all’istituto?

“La polizia penitenziaria e tutte le persone che vivono il carcere con continuità si sono subito resi conto che c’era qualcosa fuori dalla norma. Sono stati tutti comprensivi e gentili nei miei confronti, nei limiti del loro potere e delle loro responsabilità, questo è chiaro. La situazione e il contesto sono quello che sono”.

La vita carceraria non deve essere stata facile...

“Nei sei giorni e le cinque notti che sono stato lì dentro, non ho potuto chiamare nessuno perché anche solo per registrare il numero di telefono di un parente ci vogliono settimane. Più volte ho fatto la fila nella speranza di poter chiamare i miei figli, solo per sentirmi dire che il loro numero non era ancora registrato. Ho poi scoperto che loro dal primo giorno cercavano di contattarmi. Sono riuscito a contattare e vedere il mio avvocato solo sabato, dopo tre giorni. Per vedere i miei familiari ce ne sono voluti quattro, invece, di giorni. Prima di quegli incontri a me non era nemmeno ben chiaro perché fossi lì. Alla mia età la memoria purtroppo non c’è più”.

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Ha mai avuto paura?

“No, non ne ho avuto motivo”.

Si sarebbe mai immaginato una vicenda del genere alla sua età?

“No, non pensavo fosse possibile in un paese civile”.

Vuole dire qualcosa al giudice che ha rigettato la richiesta per la sua detenzione domiciliare?

“Niente, ognuno può trarre le proprie conclusioni”.

Quando è tornato a casa, qual è la prima cosa che ha fatto?

“Appena arrivati a casa ho mangiato un piatto di pasta al pomodoro con la mia famiglia. Poi sono andato a dormire, ero molto stanco”.

Cosa l’ha colpita di più?

“Ormai io ho un’età, in cella con me c’erano ragazzi di 30 anni che dovranno passare anni in quelle condizioni. Mi auguro per loro che le cose cambino”.