
La Messa di preparazione al Natale a Sollicciano
Firenze, 19 dicembre 2016 - Mettersi dalla parte dei poveri, anche da detenuti, per un passo di decisione che faccia nascere una nuova vita. Cosa vuol dire imparare ad essere “un uomo giusto”? Come riorientarsi ogni giorno, di fronte ad errori, passi indietro, responsabilità che non si possono ignorare se non al prezzo di diventare ancora più insensibili? Le parole del Natale, quelle del Vangelo, aiutano, sono fondamento di rinascita. Ascoltarle nel carcere di Sollicciano, dove ieri mattina i detenuti hanno partecipato alla liturgia celebrata dal cardinale Giuseppe Betori, provoca certamente un'eco più profonda. Ed è stato un bel dono che questo momento fosse accompagnato dal coro 'La Pasqua di Bach' guidato dal maestro Mario Ruffini, con alcuni brani della messa in Sol maggiore di Schubert.
Un segno di attenzione apprezzato da tutti. I detenuti, ma non sono loro, hanno davanti la proposta di un uomo giusto, Giuseppe, turbato per quanto accaduto a Maria, ancorato a uno sguardo di fede che, spiega Betori, gli “permette di riconoscere la presenza e l'azione di Dio attorno a lui”. E' quanto spesso manca all'uomo di oggi, “così pieno di sé da non accettare non solo che Dio illumini la sua strada, ma addirittura dubbioso che Dio possa essere una presenza concreta nella sua vita”.
Anche per noi è possibile “scorgere nella vita una presenza che non è la magica soluzione dei nostri problemi, quella che di fatto ci esonera dalle nostre responsabilità. Queste restano tutte intatte, ma noi non siamo soli di fronte ad esse”. Ci si può domandare dov'è Dio nel dramma del male del mondo e “del male che ha toccato e tocca la vita di ciascuno di noi. Sembra che tutta la sua potenza svanisca di fronte al male che imperversa nel mondo. E di questo Dio, allora, ci sembra di poter fare volentieri a meno”. Eppure Dio “sta accanto alla nostra povertà e alla nostra sofferenza, per condividerle. Questa immagine di Dio è lo sconvolgente annuncio dei cristiani. Così difficile da credere e da testimoniaire perché significa mettere dalla parte non dei potenti, ma dei poveri”. Questo è il passo di decisione da fare.
Cosa difficile, che scandalizza i benpensanti: “Lo mostra la difficoltà a seguire l'insegnamento e l'esempio di Papa Francesco, testimone di una Chiesa povera per i poveri”. Ai detenuti Betori ha proposto proprio le parole del Papa, sul “respiro” della speranza, che non può essere soffocato da niente e da nessuno. Il cappellano don Vincenzo Russo – accanto a lui anche don Roberto Falorsi, don Corso Guicciardini e don Antonio Anfuso – ha ringraziato il cardinale a nome dei detenuti, “ma in particolare del gruppo che con me anima i pomeriggi del martedì con riflessioni, pensieri, storie, lamenti e preghiere: questi momenti ci regalano attenzione, voce e la percezione di abbandonare lo stato di 'scarti' della società e sentirci persone.... entrare a contatto con col dolore, con il disagio, con la rabbia che cresce spontanea nella gabbia, in tutte le gabbie, può essere un'esperienza difficile... Speriamo di aver regalato qualcosa anche noi, una scambio che ci faccia sentire soggetti”.
Papa Francesco ha detto, a proposito delle persone in carcere, che “chi ha conosciuto l'inferno può diventare profeta”. Almeno ridiventare persone, dice don Vincenzo, “è una responsabilità possibile, e quasi dovuta”. Nella sala teatro del carcere, allestita per la messa, insieme alla direzione, ai responsabili e agli agenti penitenziari, ci sono gli amici del Cammino Neocatecumenale, della Comunità di Sant'Egidio, suor Margherita con le consorelle vincenziane e suor Luza con le suore di Madre Teresa. Una bella festa di preparazione al Natale, a suo modo un presepe, con un regalo: il maestro Ruffini darà vita a un coro di detenuti a Sollicciano.
Michele Brancale