Gabriele
Canè
È possibile che fino a ieri anche loro avessero il problema dei tavolini all’aperto: il Covid non sta risparmiando nessuno. Magari stavano pure discutendo di aeroporto, avendone già due, forse gliene poteva servire un terzo. Insomma, tu prendi Firenze in un giorno normale di un anno normale, pur nella pandemia, e provi a immaginare Kiev e la sua gente, o una qualunque altra città dell’Ucraina. Sprofondati in un lampo dalla normalità all’incubo della guerra, protagonisti di un dolore, di una paura, di una morte che avevano visto al cinema o nei documentari di un’altra guerra non troppo lontana nel tempo e nello spazio: quella dei Balcani. E’ lo spirito con cui siamo scesi in piazza e abbiamo abbracciato questa gente che ha i figli, i mariti, lontani a combattere: con l’angoscia nel cuore vedendo come la vita possa ribaltarsi nel giro di poche ore per un colpo di cannone. Anche quella di tanti e tante che stanno tra noi, che sentiamo parlare al telefono con i loro cari, di cui vediamo le foto di famiglia. Ha ragione Lucia Annunziata, pizzicata dai social in una battutaccia fuori luogo e fuori onda: sono soprattutto badanti e cameriere. Vero. Donne, tante donne, brave e capaci, salvo rare eccezioni, che hanno lasciato casa loro per dare una mano a casa nostra, ai nostri anziani in particolare. Ed è una coincidenza interessante che tra le 7 donne sindaco (e 58 uomini!) che partecipano al Forum del Mediterraneo, ci siano le prime cittadine di Sarajevo e Dubrovnik, città che hanno vissuto nel dissolvimento della ex Jugoslavia, dal 1991, conflitti assurdi e sanguinosi. Ricordando anche come la Russia di Putin non sia tanto lontana, ma ben installata, con la Turchia, in Libia, ad esempio, nel bacino di un Mediterraneo più terra di conquista che laboratorio di pace. Allora, ben vengano le manifestazioni, sapendo che non servono certo a fermare il fuoco della guerra. Ma che sono molto importanti per far sentire un po’ di calore a questa gente. Che, in un lampo, potremmo essere noi.