
Letizia Cresti ha intrapreso una battaglia per recuperare la sua dignità di persona
Firenze, 26 aprile 2025 – “Sono invisibile”, dice Letizia Cresti. L’abbiamo incontrata nella Rsa di Firenze dove è stata dimenticata da tutti. Principalmente dalle istituzioni – tutte – alle quali ha fatto appello, implorando che l’aiutassero a “ritrovare la minima dignità di persona”. E’ una combattente, Letizia, con un bel sorriso grande che si spegne insieme alla speranza di uscire da quel ricovero dove non le è permesso neppure di tenere un oggetto personale sul comodino di una stanza a due, in un reparto dove prevalentemente sono ospitati gravi malati di Alzheimer.
Letizia è l’emblema del fallimento dell’assistenza domiciliare ai malati. Una rete che, di fatto, non esiste. “Non è facile neppure trovare badanti”. Lei ne ha avute tante, contratti su contratti. “A un certo punto sparivano, dopo avermi rubato quasi tutto”, racconta. Davanti a un esercito di persone che dobbiamo solo ringraziare per l’aiuto che danno a casa a pazienti anziani e fragili, purtroppo può succedere d’incontrare disonesti. Quando il padre, sopraffatto anche dalla necessità di accudire la moglie disabile, non ha più potuto aiutarla, Letizia ha accettato di andare in una struttura. Era stata consigliata dagli assistenti sociali e da un amministratore di sostegno (che ha preso per gestire contratti, casa e non gravare sulla famiglia). Non pensava che sarebbe entrata in un tunnel di privazioni.
"Non credevo che entrando in una struttura avrei smesso di esistere: non è giusto e chiedo una soluzione, per me e per tutte le persone che si trovano in una condizione analoga alla mia».
Letizia, quando si è ammalata?
"Ho scoperto di soffrire di sclerosi multipla a ventisette anni. Ricordo perfettamente quel giorno, era il 13 ottobre 1993. Ero a lavorare, facevo l’estetista. Improvvisamente mi si è bloccata tutta la parte destra del corpo. Allora non esistevano ancora le cure di oggi capaci di arrestare la corsa della patologia”.
Poi com’è andata la sua vita?
"Fino a 48 anni sono stata bene, ho avuto una vita normale. Mi hanno consigliato di lavorare da impiegata e l’ho fatto per grandi griffe della moda e per centri sociali. Mi sono sposata, anche se dopo ho avuto una turbolenta separazione”.
Cos’è successo a 48 anni?
"Che la malattia si è fatta viva in modo più aggressivo, togliendomi l’autonomia che sino a quel momento avevo avuto. E lì è iniziato il calvario: vivevo in un appartamento a Scandicci, con l’aiuto di badanti e il sostegno di mio padre, che si prende cura anche di mia madre con grave disabilità. Ma l’assistenza domiciliare, per quanto teoricamente prevista, è in pratica un percorso ad ostacoli: personale non formato, turnover continuo, difficoltà contrattuali. E così, per mancanza di una rete efficace, sono stata costretta a trasferirmi in una struttura pensata per anziani non autosufficienti. Dove mi sento ogni giorno meno persona e più corpo da assistere”.
Quando è entrata in Rsa?
"Il 26 gennaio 2024. La mia vita si è fermata da quel giorno”.
Perché?
"Sono stata privata di ogni libertà, non posso più avere una vita. E’ stata violata la mia dignità”.
Qual è la sua giornata?
"Una stanza condivisa, un letto singolo inadeguato, spazi personali limitati a un armadio e un comodino. Non c’è chi mi accompagni a prendere una boccata d’aria, chi mi supporti nell’uso della tecnologia o chi ascolti davvero i miei bisogni. La mia igiene personale spesso non è curata a dovere, la dieta non tiene conto delle mie esigenze, sono dimagrita nove chili in un anno, il supporto psicologico è assente”.
Dovrebbe fare fisioterapia...
"Per continuare a muovermi pago di tasca mia un fisioterapista una volta alla settimana e il trasporto per raggiungere due volte la settimana un centro esterno per fare ginnastica mirata. Eppure dovrebbero essere diritti garantiti. Le neurologhe che mi seguono confermano la mia lucidità e denunciano l’inadeguatezza del contesto in cui vivo: non è un luogo adatto, né sul piano fisico né su quello relazionale".
Che cosa vuole denunciare?
"Spesso la cena è servita alle cinque e mezzo del pomeriggio, poi è finita la giornata che comincia con tempi scanditi dal cronometro. Otto minuti per lavarsi, sette per mangiare: non sono un papero. Manca il personale. Poi ci sono anche persone cattive e questo lo devo dire, non solo per me ma per difendere chi non può farlo da solo perché non ha più la testa. Vorrei che la mia denuncia potesse smuovere qualcosa, risvegliare le coscienze. Far capire che così le cose non possono andare avanti. Anche se ho un po’ perso le speranze perché abbiamo scritto lettere a tutte le autorità, ci rispondono che conoscono il problema e tanti cari saluti”.
E lì com’è la situazione?
"Lo vede? Qui dentro c’è una solitudine assordante. Mai un po’ di animazione, neppure oggi che è festa. Ci sono tanti anziani, ricordare un giorno così bello come la Liberazione potrebbe essere importante... Chi può vaga, senza meta e senza futuro. E’ vita questa?”.
Il suo amministratore di sostegno l’aiuta?
"Non mi ascolta, non mi rappresenta. Ma cambiarlo è praticamente impossibile per una persona nella mia condizione: servirebbe tempo, aiuto, competenze, contatti che non ho. Questa situazione non è solo triste, è illegittima. Perché so che ci sono norme valide per garantire i miei diritti”.
Cosa vorrebbe?
"Il Programma regionale per la non autosufficienza prevede soluzioni residenziali diverse dalle Rsa. Eppure io, come molti altri, non ne beneficio. Quello che chiedo non è un lusso, ma una casa. Una piccola comunità, magari condivisa con persone che hanno bisogni simili ai miei. Tutto questo esiste nei documenti, ma non nella realtà".
Pronta a combattere?
"Non voglio rassegnarmi a una vita ai margini. Lo faccio per me ma anche per tutte le persone con disabilità che non hanno voce o non riescono più a usarla. Spero che qualcuno comprenda e agisca”.