Francesco
Gurrieri
Quando Cristina Acidini scrisse la presentazione della bella monografia “Antonio Ciccone Portraits” (2015) disse di ‘uno svagato profeta perso in città’: qualcosa che anch’io condivido, fin dal mio primo incontro, nei lontani anni Cinquanta. Proveniva da San Giovanni Rotondo, con una segnalazione di Padre Pio; fu accolto nel Gruppo di Montughi, condotto allora da padre Michelangelo e frequentato da Arnaldo D’Addario, Roberto Pompignoli, Guido Adami Lami, Mauro Magni, Arnaldo Pini, Pietro Passerini. Subito ben integrato, iniziò la frequentazione dello studio di Nerina Simi e di Pietro Annigoni, diventando di quest’ultimo uno degli allievi più vicini. Dunque, come ancor oggi è ricordato dai suoi colleghi artisti, un “annigoniano”, che sta per artista profondamente legato alla figura, alla natura, al ritratto. Materia cioè, come insegnano secoli di storia dell’arte, fra la più difficile e pietra di paragone dell’abilità dell’artista (e per ciò, spesso, snobbata, dai pittori informali).
Ciccone, incontra a Firenze Linda Allison Merril, studentessa d’arte di Washington, la sposa e con lei gira il mondo, fermandosi a lungo negli Stati Uniti dove si costruisce una fama che lo rende ricercato in tantissimi luoghi d’arte come la Palm Beach Galleries in Florida, la Guild Hall Galleries di Chicago, il Southampton College e la Tower Gallery di New York. Poi il ritorno a Firenze, assunta come patria definitiva e dove, con la sua Linda, costruirà una meravigliosa famiglia interetnica. Nel 1987 collaborerà con Annigoni nel bellissimo affresco della ‘Natività’ di Ponte Buggianese; poi una serie ininterrotta di mostre e di affreschi per l’Italia: ad Assisi, San Giovanni Rotondo, Firenze, Milano (con una mostra sponsorizzata dalla Forbes Foundation e curata da Sgarbi), di nuovo ad Assisi. Da tempo ha il suo studio, luminosissimo, nella fiorentinissima via Serragli, dove si accumulano e si possono godere affascinanti ritratti a carboncino e matita.