Un invito a entrare nell’oscurità, in cui perdere e ritrovare noi stessi, interrogandoci sulla nostra interiorità, su ciò che è reale o irreale, verosimile o inverosimile. Inizia dal cortile quattrocentesco di Palazzo Strozzi, con tre grandi forme rettangolari vuote in cui lo sguardo è invitato a immergersi, la mostra di Anish Kapoor, l’artista britannico di origini indiane, che ha rivoluzionato l’idea di scultura nell’arte contemporanea.
"Untrue Unreal", inverosimile irreale, come il mondo attorno a noi, che ci spinge ad aprire le porte alla dimensione dell’impossibile. E’ questo il senso delle sue opere che uniscono spazi vuoti e pieni, superfici assorbenti e riflettenti, forme geometriche e biomorfe. Anish Kapoor sa che la realtà sembra sempre più sfuggente e manipolabile, e per questo, con le sue cere color rosso fegato e il suo nero, un materiale più nero dei buchi neri, ci sfida a cercare la verità oltre le apparenze, invitandoci a esplorare il territorio, appunto dell’inverosimile e dell’irreale, untrue e unreal.
Inventore di una nuova dimensione della scultura, Kapoor è comunque un innamorato dell’arte rinascimentale, ed è per questo che ha accolto l’invito del direttore di Palazzo Strozzi e curatore della mostra, Arturo Galansino, a invadere lo storico edificio con le sue ’rischiose’ macchine generatrici di cera. "Ieri sera ho fatto una passeggiata intorno al Duomo - racconta – , uno dei monumento più belli al mondo, e riflettevo sul fatto che ci sono voluti due secoli per costruirlo, ossia venti o trenta generazioni. Questo vuol dire che i vostri antenati avevano fiducia nella cultura, e che è stato possibile tramandare queste informazioni da una generazione all’altra. Oggi questo non è più possibile. Viviamo in un periodo di dispetto culturale, mi dispiace dirlo ma credo che sia profondamente e tristemente vero".
Un filo di pensieri che lo porta a spiegare il titolo della sua esposizione, ribadendo che l’imperscrutabile e illusorio fanno parte della nostra esistenza: "In fondo in questa vita ci stiamo per un tempo molto breve - prosegue - non sappiamo cosa ci sia prima dell’inizio e cosa ci sia dopo, alla fine. Questo fa parte della disperazione della nostra condizione umana, che è una costante. Citando Paul Valery, una brutta poesia è una poesia che svanisce nel significato. Ecco, tutta l’arte, la grande arte, si trova in quello spazio a metà strada tra il significato e il non significato, tra l’essere e cosa voglia dire l’essere. Ci sono troppi colleghi che pensano di dare un significato alle loro opere. Io preferisco rifarmi alla poetica degli oggetti e alla poetica dell’essere. Credo debba essere questo il nostro compito".
La mostra inizia domani e prosegue fino al 4 febbraio. Ma potrebbe lasciare più di un ricordo effimero. La vicesindaca Alessia Bettini ha invitato l’artista a donare una sua opera alla città. E la risposta di Kapoor è stata: "Sarebbe mio onore avere un mio lavoro qui a Firenze".