
La vita di Rosanna Tacci e Mirella Lotti è stata segnata in maniera indelebile dall’orrore delle stragi nazifasciste
San Casciano (Firenze), 23 aprile 2025 – Hanno scoperto di avere in comune uno stesso tragico pezzo di Storia, quello dell’orrore della stragi nazifasciste. Entrambe hanno vissuto il dramma della morte dei familiari, ma anche se abitano a pochi km di distanza – Rosanna Tacci a San Casciano e Mirella Lotti a Fabbrica – fino a qualche anno fa non si erano mai incontrate. Figlie di padri perseguitati e trucidati, una col babbo Dante calzolaio antifascista, carcerato, torturato e condannato per la sua azione sovversiva nei confronti del regime fascista, l’altra orfana di padre Giuliano e nonno Carlo, fucilati nella strage di Pratale.
Signora Lotti, dopo tanti anni si è data una spiegazione di quanto successo?
"Non so ancora quale possa essere stata la ragione che ha spinto le truppe naziste a catturare e uccidere mio padre, mio nonno e gli altri 10 contadini la sera del 23 luglio 1944, nel bosco di Pratale. Al tramonto, mentre cenavamo, decisero di mettere in atto il loro crudele piano di morte, ci prelevarono e ci separarono: donne e bambini da una parte, uomini dall’altra. Lì capii che non avrei più rivisto mio padre e mio nonno".
Cos’altro ricorda di quel 23 luglio?
"Una frase risuona nella mia mente, detta con disprezzo da un tedesco a mio nonno: “Amate gli americani ma non li vedrete!“. Nel tragitto che facemmo a piedi per l’allontanamento forzato, mia mamma fu colpita con la canna del fucile perché opponeva resistenza e io, strappata dalle braccia del mio caro babbo, urlando disperata caddi a terra per il calcio di un soldato. Non sa che cosa farei per poter riabbracciare mio padre".
E lei signora Tacci, come ha vissuto la sua infanzia?
"Da bambina diversa, emarginata, isolata, a scuola bisognava essere sempre essere pronti a conoscere gli inni che ci insegnavano per l’educazione fascista, e ogni sabato occorreva avere la montura per partecipare al sabato fascista. Io non avevo la montura, avevo il grembiule bianco e mi trattavano come un’appestata. Ogni giorno vivevo col terrore che qualcuno bussasse alla porta di casa, in via Roma, e mi portasse via il babbo, vigilato speciale".
Che rapporto aveva con suo padre?
"Lo amavo e lo stimavo infinitamente, è chiaro che da bambina faticavo a capire il motivo per cui mi proibiva di indossare la montura, unica speranza di avvicinarmi ai miei coetanei".
Ricorda come le parlava dei suoi ideali?
"Mi diceva ‘lo faccio proprio per te, perché tu un giorno possa sentirti viva, indipendente’".