LUCA SCARLINI
Cronaca

Alla scoperta dell’altra Romagna. Il maestro del gotico ci guida per i monumenti di Ravenna, bella e paludosa

Mario Praz il 20 ottobre 1951 scrisse per La Nazione la storia del suo viaggio tra le opere d’arte "Qualcosa di paradossale c’è anche oggi, un insidioso nonsense come nel Paese delle Meraviglie".

Alla scoperta dell’altra Romagna. Il maestro del gotico ci guida per i monumenti di Ravenna, bella e paludosa

Alla scoperta dell’altra Romagna. Il maestro del gotico ci guida per i monumenti di Ravenna, bella e paludosa

Un settimanale illustrato ha dato l’allarme per la rovina delle ville vicentine, ma lo stesso avrebbe potuto fare pei palazzi della Romagna. Quando visitai Dublino una ventina d’anni or sono, deplorai lo stato d’incuria e peggio in cui si trovavano i delicati stucchi dei soffitti degli Adam in case trasformate talvolta in club, tal’altra addirittura in tuguri di povera gente: e che cosa dovrei dire ora dei palazzi di Faenza? Qui non un nome illustre come quello di Robert Adam, ma il pittore Felice Giani (1758-1823) non è neanche l’ultimo venuto, anzi, in un periodo come il nostro neoclassico singolarmente povero di pittori di genio, è addirittura un’araba fenice, di cui invidiamo la scoperta a due amorosi cultori di storia ed arte faentina, Ennio Golfieri e Antonio Corbara, che se ne sono occupati di recente in Paragone.

Ma le fotografie di Paragone non danno che una ben povera idea della foga, della vivacità di colorito del Giani, che, con la collaborazione di allievi come il Bertolani, e dello scultore e stuccatore Trentanove, ha decorato di scene mitologiche e classiche, episodi del’Iliade, gesta di Ercole, storie romane, una quantità di palazzi di Faenza e di Forlì ei colori vivi, l’ardita maniera che porta a confluire in fermenti di un precoce romanticismo quanto di vitale era rimasto alla estrema pittura barocca (come ha ben detto il Golfieri), danno a quei quadri riportati dei soffitti tra il delicato chiaroscuro de fregi, un risalto che, no, non può davvero rientrare sotto il corrente cliché di freddezza neoclassica. Ma se qualcuno di questi palazzi, come il sontuoso Magnaguti (già Milzetti), ha avuto la ventura di cadere in buone mani (gli attuali proprietari han conservato anche gli antichi tendaggi, e solo rimpiangono che una bestiale asta giudiziaria abbia una quindicina d’anni fa disperso il meglio dei mo bili), la più parte, lesionata dai bombardamenti, è abbandonata a un destino di rapido deperimento e scomparsa. L’acqua s’è infiltrata in macchie e gallozze che sconciano le grisailles e sfigurano le pitture, sinistre crepe traversano i muri come folgori pietrificate; i bisogni degl’inquilini han diviso con tramezzi i saloni, talora una deliziosa saletta neoclassica è stata addirittura adibita ad ambulatorio medico, sicchè le uniche persone che realmente guarderanno i soffitti con un’ansia che non ha certo come causale il loro deperimento, sanno i malati stesi sul lettino durante l’esame del medico.

Perchè i nostri maggiori costruissero palazzi così grandi, con monumentali scaloni e saloni sterminati, in piccole città di provincia, è un altro discorso: si potrà oggi sorridere della loro ingenua gara d’esibizione di potenza e ricchezza; ma dal momento che il risultato di essa è stato una horitura d’arte, dal momento che quei palazzi sono un patrimonio di cui non soltanto gli eruditi locali dovrebbero essere fieri, s’avrebbe noi da fare come gli americani, la cui civiltà procede a ritmo di scarto e scrapping è la parola d’ordine in tutto, dalle scatole dei cibi in conserva agli edifici ancor validi di quarant’anni fa?

(...)

Lo scrapping può andare per l’America, dove gli edifici che demoliscono non hanno pregio artistico alcuno, ma praticato da noi è non meno insensato del vezzo di certi gonzi ecclesiastici di campagna che una volta erano ben lieti di scambiare preziosi fondi oro con moderne statue di santi di cartapesta colorata. Di questa moderna barbarie le città della Romagna offrono purtroppo copiosi esempi, forse perché la vicinanza a Predappio le designava alla particolare benevolenza del partito al governo. Che anche Ravenna, come Venezia, sia costruita sull’acqua, ce ne accorgiamo dalle gore che stagnano ai piedi delle colonne di San Vitale. I cieli dei mosaici non danno immagine del cielo, ma appunto del fondo del mare; e queste figure dorate, questi cortei di vergini e di anziani, sono apparizioni abissali, che vi guardano con gli occhi grandi e fissi dei pesci delle profondità, e son rivestiti di tessere musive come di scaglie, come favolosi mostri, tra viticci che si snodano come tentacoli di polipi. E come il poeta simbolista russo Alexandr Blok: "Tu come un pargolo dormi, Ravenna, nelle braccia di una eternità sonnolenta".

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