Addio Filastò, inseguì il mostro ’poliziotto’

E’ morto l’avvocato che difese Mario Vanni, uno dei ’compagni’ di Pacciani. Studioso dei delitti, mai convinto dalle sentenze di condanna

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di Stefano Brogioni

All’età di 82 anni, per colpa di un malaccio, come si dice qui a Firenze, l’avvocato Antonino Filastò, detto Nino, se n’è andato. E con la sua dipartita, che segue di qualche settimana la morte del detective Ruggero Perugini, la storia delle indagini e dei processi ai delitti del mostro di Firenze perde un altro pezzo. Forse il più intelligente e raffinato, di sicuro uno dei più combattivi contestatori delle verità giudiziarie stabilite.

Non soltanto perché fu uno dei difensori del postino di San Casciano Mario Vanni, il ’compagno di merende’ di Pietro Pacciani e Giancarlo Lotti, condannato all’ergastolo. Filastò è stato uno dei più attenti studiosi dei delitti del serial killer: li analizzava già prima di entrare ufficialmente nei procedimenti come difensore di ’Torsolo’, e continuò a studiarli anche dopo aver rinunciato al mandato. Pure con una rubrica sul nostro giornale, di cui era un insaziabile lettore.

"Il controprocesso di Filastò", si chiamava il suo spazio in cui, nel 1997, rianalizzava punto per punto le contraddizioni di una vicenda che, a quasi quarant’anni di distanza dall’ultimo delitto, non trova pace. Ai delitti del mostro e ai relativi processi, dedicò anche uno dei suoi libri, "Storia delle merende infami", perché oltre che avvocato – aveva lo studio al numero 13 di Borgo Santa Croce –, era stato anche uno scrittore. Per le aspre critiche mosse agli inquirenti in quelle pagine, si prese pure una condanna per diffamazione.

Ma non se ne curò. Tuffandosi nelle carte di un’inchiesta sterminata, da cui sapeva cogliere dettagli e sfumature invisibili, Filastò aveva maturato la sua convinzione, neppure troppo intima, di un ’mostro poliziotto’, e cioè di un assassino che utilizzasse le stesse tecniche delle forze dell’ordine, ne conoscesse modi e iniziative. Di più: pensava, e lo scrisse, che in virtù di questa sua professione o professionalità, il mostro si avvicinasse alle coppie chiedendo addirittura i documenti, come fa una ’guardia’ durante un controllo. La sua ipotesi, maturava sempre dalla sua perspicace analisi di atti e scene del crimine, verbali e testimonianze. Dai documenti ritrovati spesso fuori posto nelle auto delle vittime, all’assenza di tentativi di reazione delle stesse, alla conoscenza di dettagli ignoti ai più.

La figura di Filastò resterà ai posteri anche per un involontario duetto tragicomico diventato un cult grazie anche a YouTube e ai social: quello in cui il suo assistito Vanni, parecchio malandato, avanti con gli anni e la malattia, viene espulso dall’aula bunker dove si celebrava il processo a suo carico, dopo aver inneggiato "al Duce e alla libertà" e oltraggiato il pm Paolo Canessa, suo accusatore. "Tanto c’ho l’avvocato Filastò, mi basta", bofonchiò mentre i carabinieri lo prendevano a braccetto, portandoselo via.

E Filastò neanche lì perse la sua flemma.

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