REDAZIONE FIRENZE

Addio Fabbri, il prete testimone del caso Moro

Segreti e rivelazioni: "Vidi le mazzette di dollari per 10 miliardi di lire che il Vaticano voleva usare per pagare il riscatto dell’onorevole"

Se ne è andato un altro testimone del caso Moro. Monsignor Fabio Fabbri, è morto, aveva 79 anni. Nato a Scarperia il 3 maggio ‘42 fu un protagonista della trattativa avviata dal Vaticano per far liberare lo statista Dc. La Santa Sede avrebbe pagato un riscatto: era pronto l’equivalente in dollari di 10 miliardi lire.

"Vidi di persona le mazzette dei soldi, sotto una coperta di ciniglia blu, a Castel Gandolfo con Papa Montini e monsignor Macchi" raccontò Fabbri in un’intervista a Santoro, nel maggio 2018. Di grande interesse anche la testimonianza a Non è un caso, Moro, il docu-film del regista Tomaso Minniti e del giornalista Paolo Cucchiarelli. E in un’altra intervista al sito www.formiche.net. Fabbri all’epoca era (lo fu per vent’anni) braccio destro di don Cesare Curioni, capo dei cappellani delle carceri, che attraverso questi contatti gestì la trattativa voluta da Paolo VI per salvare Moro, rapito il 16 marzo ’78 dalle Br e ucciso il 9 maggio. Certo mondo cattolico aveva un dialogo aperto con brigatisti come Franco Bonisoli e Prospero Gallinari, tra i principali protagonisti del sequestro. "Gli incontri con gli avvocati delle Br si svolgevano a Napoli nei cantieri della metropolitana in costruzione", ricorda don Fabbri.

Quando la liberazione di Moro pareva imminente "venne bruscamente interrotta come se fosse arrivato un ordine. Esterno. Americani, inglesi, francesi, i Servizi. Curioni era sicuro: una forza di queste disse ‘no’", spiegò Fabbri. E i soldi? "Non erano dello Ior, ma banconote raccolte in un fascicolo con caratteri ebraici, della banca di Tel Aviv. Curioni mi disse che Moro era vestito di tutto punto. Stava per essere liberato e dopo una visita medica al policlinico Gemelli sarebbe stato portato in Vaticano. Ma non mi spiego che cosa c’entrasse il Cile...". Forse la liberazione di un prigioniero politico rinchiuso da Pinochet.

Fabbri sapeva molto. Il 6 dicembre 2017 disse agli investigatori: "Nei risvolti dei pantaloni di Moro al ritrovamento del cadavere c’era terriccio che io so essere riconducibile a una cantina di un’ambasciata. All’epoca aveva sede nei pressi di via Caetani, ora non è più attiva". Papa Montini scrisse la lettera per far liberare Moro ’semplicemente, senza condizioni’. "Una sera uscii di camera, la luce di un abat jour filtrava da sotto la porta. Così assistetti al colloquio telefonico già iniziato tra Macchi e un interlocutore. ’Sì, no Santo Padre’ lo udii dire... Il Papa: leggeva a Macchi la lettera in modo che le sue parole non turbassero le trattative per pagare il riscatto". Tanti aneddoti sconvolgenti. "Macchi vide 6-7 foto di Moro dopo l’autopsia. Vide il cuore e sei fori a corona intorno: era stato colpito senza che il muscolo cardiaco venisse toccato. ’Io so chi è che ha fatto questo è la sua firma’, esclamò Macchi. Disse che era di ’un giovanetto già detenuto al Beccaria di Milano. All’epoca rubava le autoradio’...". Un calabrese? "Forse". Giustino De Vuono: il legionario cui si riferì senza citarlo Mino Pecorelli in un articolo super documentato un paio di mesi dopo la tragedia. De Vuono killer diviso tra brigatisti e ‘Ndrangheta. "E pensare che El Pais e il Corriere della sera lo indicavano già due giorni dopo il ritrovamento di Moro", commentò con rabbia don Fabbri.

giovanni spano