Iacopo Tozzi
Cronaca

Accordi prematrimoniali, la sentenza della Cassazione passo avanti verso la modernità

La riflessione dell’avvocato Iacopo Tozzi dopo la recente pronuncia della Suprema Corte

Firma di patti prematrimoniali in una foto d'archivio

Firma di patti prematrimoniali in una foto d'archivio

Firenze, 13 agosto 2025 – La sentenza della Cassazione n. 20415 del 21 luglio, definita dai mass media come quella che ha sdoganato in Italia i c.d. patti prematrimoniali merita attenzione in quanto rappresenta un ulteriore passo in avanti verso la riduzione di fastidi e problemi che affliggono la fine dei matrimoni. La succitata sentenza sembra che abbia il merito di aver introdotto anche nel nostro Paese gli accordi prematrimoniali che esistono oramai da molto tempo in alcuni Paesi stranieri ed in particolare negli Stati Uniti e che disciplinerebbero le condizioni economiche di un’eventuale, sia pur non auspicata, fine del matrimonio.

E’ doveroso ricordare come nel nostro Paese gli avi dei patti prematrimoniali possano essere rappresentati dalla facoltà per i coniugi di optare per il regime patrimoniale di separazione o di comunione dei beni da adottare sia al momento delle nozze sia durante il matrimonio. Si potrebbe dire quindi tanto rumore per nulla, anche se non è proprio così.

Basta leggere la sentenza per rendersi conto che il principio statuito nella sentenza di luglio era in effetti già riconosciuto da anni nel nostro Paese. Dapprima gli accordi prematrimoniali avevano ottenuto riconoscimento in caso in cui i futuri sposi contraenti si fossero sposati in Chiesa (ma avente anche effetti civili), cosicché una volta che i coniugi avessero ottenuto la dichiarazione di nullità del matrimonio i patti avrebbero acquisito piena efficacia.

Successivamente vi è stata un’ulteriore evoluzione, in quanto gli accordi c.d. prematrimoniali (e stipulati nel corso del matrimonio) erano stati riconosciuti validi in varie sentenze già dal 2012 (n. 23713) e molte altre a seguire: era appunto stata riconosciuta piena validità all'accordo tra i coniugi che aveva regolamentato i loro rapporti patrimoniali in caso di fallimento del matrimonio, quale contratto c.d. atipico - permesso e previsto dalla legge all’art. 1322 del codice civile- là dove l’evento divorzio veniva inquadrato semplicemente come condizione sospensiva lecita grazie al quale l’accordo diveniva esecutivo.

Ma ora come allora non risulta concordabile in sede preventiva alla crisi coniugale la facoltà di decidere sui diritti c.d. indisponibili, ma è possibile disciplinare la divisione patrimoniale tra i medesimi coniugi.

Non si può comunque non rilevare come la Cassazione si stia adeguando all’evoluzione socio economica del nostro Paese e al cambio di consuetudini sociali, anche tramite l’introduzione o il riconoscimento di principi che hanno l’obbiettivo di incidere proprio nell’evoluzione dei costumi sociali. La materia della famiglia e dei rapporti tra coniugi ha subito una rilevante quanto repentina evoluzione dove il riconoscimento alla validità degli accordi prematrimoniali potrebbe colmare le lacune di tutela che inevitabilmente si sono venute a creare in forza di una normativa che per certi aspetti potrebbe essere obsoleta. Siamo passati infatti alla attribuzione di assegni di mantenimento perpetui anche in presenza di matrimoni non così lunghi attribuendo al coniuge meno facoltoso praticamente una sostanziosa rendita vitalizia, creando quindi una situazione di ingiustizia e anacronistica. E sarebbe facile ricordare sentenze che riconoscevano assegni consistenti a coniugi che solo per essere stati tali avevano maturato una rendita più da vincita da lotteria che da cessazione di rapporto coniugale.

Successivamente, in “reazione” alla suddetta situazione che veniva avvertita come ingiusta e non più adeguata all’evolversi dei tempi e dei costumi sociali, in quanto dopo pochi anni di matrimonio il coniuge, magari anche abbastanza giovane, poteva godere di un sostanzioso vitalizio a carico dell’altro, vi è stato un cambio repentino, come è un po' consuetudine nel nostro meraviglioso Paese, di impostazione passando, mi sia consentito dire, da un estremo all’altro. Con l’evolversi dei costumi sociali e delle consuetudini di vita, infatti, la giurisprudenza (a torto o a ragione) ha iniziato a stringere le maglie del diritto all’assegno di mantenimento riconoscendolo solo in casi particolari, ovvero, in due parole, quando il coniuge che chiede l’assegno riesca a dimostrare di aver rinunciato, a causa del matrimonio, a occasioni lavorative per dedicarsi alla famiglia e al contempo a dimostrare di aver contribuito al reddito ed al patrimonio dell’altro coniuge che si è dedicato al lavoro professionale, ma dando luogo – a parere di chi scrive e detto per inciso- ad effetti pratici ingiusti in quanto nei fatti è stato svuotato di rilievo il lavoro svolto all’interno delle mura domestiche rispetto a quello professionale, violando, sempre a modesto parere di chi scrive, il principio della pari dignità dei coniugi e della pari dignità del lavoro svolto al di fuori e all’interno delle mura domestiche e del principio che il matrimonio deve essere una unione tra eguali.

Ebbene, a fronte della nuova suddetta interpretazione della normativa sul divorzio, questa ennesima sentenza ha il forte merito di fare un ulteriore passo avanti verso la modernità e di ribadire che i coniugi, quali persone adulte, hanno il diritto di poter disciplinare gli effetti economici della fine del loro rapporto in piena autonomia, ma occorre che ciò avvenga nel rispetto reciproco e nella equità e nel fatto che i due coniugi siano così accorti e pragmatici da concordare per iscritto l’eventuale fine del loro matrimonio.

Non bisogna dimenticare che comunque in Italia la radice cattolica è ancora forte e il matrimonio è intimamente per tutta la vita, è la fusione di due in uno tanto che sembra inimmaginabile parlare di fine del rapporto quando ci si sposa o quando ancora va tutto bene. Questa è una delle principali differenze che vi è rispetto ai Paesi dove i patti prematrimoniali sono da tempo prassi consolidata. La sentenza ha quindi il forte merito di evitare che alla fine del matrimonio uno dei due coniugi, soprattutto quello che si è dedicato più alla gestione della famiglia piuttosto che a farsi una carriera, possa restare senza tutela e fare una brutta fine perché riniziare e reimmettersi nel mondo del lavoro a 45 o 50 anni a parole sembra facile ma nei fatti risulta parecchio difficile, ma sorge spontanea una domanda: se uno dei due ha scelto di mettersi nelle mani dell’altro tanto da dedicarsi interamente al lavoro all’interno delle mura domestiche come si può pensare che abbia ancora l’accortezza di chiedere ed ottenere un accordo prematrimoniale ?

Ed ecco che la risonanza mediatica di una sentenza che cristallizza un principio già riconosciuto ha comunque il merito di “informare” e di far conoscere quali diritti e quali tutele la legge mette a disposizione dei suoi cittadini. Ben vengano sentenze del genere, ben venga il pieno riconoscimento degli accordi c.d. prematrimoniali nel nostro Paese, in quanto si aggiunge una tutela e una facoltà, senza togliere nulla a nessuno, ma occorre non dimenticare che nei Paesi in cui questi accordi sono da sempre riconosciuti sono comunque regolamentati in modo da prevedere che la stipula degli stessi avvenga in una situazione il più possibile di parità di forza, quantomeno morale, tra i due coniugi. E’ necessario infatti che venga indicata la situazione economica dell’uno e dell’altro sposo addirittura nell’accordo, cosicché da essere frutto di un consenso c.d. informato.

Si potrebbe concludere che l’accordo prematrimoniale rappresenta un atto di amore verso l’altro e potrebbe essere l’occasione per mettere nero su bianco i progetti e la divisione dei ruoli all’interno della famiglia così, quando l’amore cessa, da evitare, o quantomeno ridurre, le liti perché i due, quando ancora vivevano l’uno per l’altro, avranno probabilmente fatto un accordo che per l’amore reciproco che nutrivano non poteva non essere equo. E non c’è certamente da vergognarsi o da sentirsi offesi se l’altro chiede la stipula di un accordo in modo da concordare il progetto di vita che potrebbe, nel rispetto della libertà reciproca, cessare anche dopo molti anni.