
Firenze, ex ippodromo Le Mulina (foto Giuseppe Cabras/New Press Photo)
Firenze, 14 agosto 2025 – “Firenze non è Milano, non è Roma. Non mi risulta che qui ci siano campi rom, né autorizzati né irregolari”. Dice bene il comandante della polizia municipale Francesco Passaretti, arrivato qui nel 2023 da Latina e conoscitore della realtà capitolina. Il campo rom del Poderaccio, nato alla fine degli anni ’80 come area di sosta per nomadi con container e roulotte, è stato smantellato cinque anni fa, di questi periodi, ad agosto 2020, con la demolizione delle 80 casette. La tragedia di Milano ha giocoforza riacceso i riflettori sulle realtà ai margini.
ACCAMPAMENTI ABUSIVI
“Ma non siamo esenti da problematiche - aggiunge - come possono essere gli insediamenti abusivi che sorgono in modo spontaneo in alcune zone”. Uno è nato proprio a due passi dall’ex campo rom di via del Poderaccio nella campagna tra l’Argingrosso e la Greve, nel cuore della riqualificazione del parco Florentia, ancora lontano dall’essere realizzata. Tendopoli e baracche costruite con materiali di risulta, tirate su in mezzo ad aree abbandonate e lontane dalla città cartolina che i turisti conoscono. Come nei pressi del ponte all’Indiano, non molto lontano dalle abitazioni autorizzate dei giostrai, dove ha messo radici un piccolo nucleo abusivo, il cui numero varia: talvolta ci dormono in 5, altre sono il doppio.
EX FABBRICHE OCCUPATE
E poi anche ex fabbriche dismesse e capannoni inattivi diventati tetti improvvisati e precari sulle teste erranti di chi, spesso per necessità o per disperazione, talvolta per scelta, conduce una vita ai margini, fatta di sonni consumati su brandine arrugginite e sacchi a pelo e risvegli tra immondizia e scarti. Era la situazione dell’ex Meccanotessile, a Rifredi, oggi recintato e nuovamente al centro di un progetto, seppur rallentato, di recupero dell’area. Ed era la situazione, fino a due anni fa, dell’area ex Antilotex di viale XI Agosto. L’insediamento più corposo, in certi momenti si contavano cinquanta persone all’interno. Poi a luglio 2023 un incendio - l’ennesimo - tra i giacigli e le coperte, e la struttura è stata posta sotto sequestro. Ma i sigilli non sempre proteggono da nuove occupazioni.
EX IPPODROMO LE MULINA
L’esempio più lampante è l’ex ippodromo Le Mulina, all’interno del parco delle Cascine. Oggetto del desiderio che il Comune si contende con la Pegaso srl, dopo che il primo ha levato la concessione alla seconda, ora rimangono in attesa della pronuncia del Tar (il 4 settembre). Nel frattempo gli sgomberi e le azioni delle forze dell’ordine si ripetono con una certa frequenza. Il copione è più o meno lo stesso, così come l’esito: il blitz alle prime luci dell’alba, il brusco risveglio è un invito ad andare via, si passa poi all’identificazione, ogni tanto ci scappa anche una denuncia, dopodiché le persone raccolgono quelle poche cose che possiedono, senza furia, né tantomeno il timore di dimenticarsi qualcosa. Con i trolley o i carrelli dei supermercati adibiti a valigie, vanno via, sotto gli sguardi attenti delle divise. Per poi ritornare, con la complicità della notte. L’ultimo sgombero è stato a fine luglio, in concomitanza con l’inizio dei lavori per la messa in sicurezza dell’area e la costruzione della recinzione. Ma dopo nemmeno 24 ore i residenti abusivi, una trentina, erano di nuovo lì, nelle ex stalle, mentre gli operai andavano avanti coi lavori. Sono perlopiù persone invisibili al sistema socio-sanitario, banalmente perché irregolari, sfuggenti a quello giuridico, operanti in un mercato del lavoro che si alimenta sottobanco tra piccole attività di spaccio, ricettazione o vendita di ferro e rame. Cittadini extracomunitari e rom che in alcuni casi condividono gli spazi. Male integrati, se non per nulla, con la società circostante, per volontà dei primi o disinteresse della seconda. Una situazione che si traduce spesso in una convivenza difficile, non accettata da una parte, non cercata dall’altra. Alcuni insediamenti sono perlopiù inaccessibili agli esterni. Senza contare le intrusioni ’forzate’ dovute agli sgomberi o agli interventi dei vigili del fuoco chiamati a spegnere gli incendi che puntualmente scoppiano tra le baracche, i tentativi di entrarci in contatto vengono vissuti con diffidenza e la consapevolezza di non essere ben voluti.
PARCO DEL MENSOLA
È il caso del parco del Mensola, dove a giugno scorso le fiamme hanno distrutto alcune baracche e riscaldato gli animi dei residenti. “Abbiamo cercato in più occasioni di parlare con loro, ma è stato inutile. Ci hanno allontanato in malo modo”. A dirlo è Michele Pierguidi, presidente del Q2, all’interno del quale sorge l’insediamento lungo la grande area verde, in una striscia di terreno privato. È lì che, insieme al suo staff, ha cercato di intavolare un dialogo con gli abitanti nella speranza di poter risolvere una situazione all’apparenza irrisolvibile. I residenti lì non ce li vogliono, ma loro non hanno intenzione di andar via e vorrebbero essere lasciati in pace. “Ci vorrebbe una rete di quartiere, Asl, servizi sociali e procura, che si prenda in carico queste persone - ancora Pierguidi - che vivono in scarse condizioni igienico-sanitarie e di sicurezza. Sono una bomba a orologeria. Invisibili per la legge e per i servizi sociali”.
Sono quasi tutti uomini, di origini rom. Vivono di espedienti, fanno raccolta di rifiuti non autorizzata, elettrodomestici, bici, che poi cannibalizzano per venderne i pezzi. Qui l’intervento delle forze dell’ordine è complicato dal fatto che persistono su un terreno privato. “In questi casi serve un’interlocuzione con la proprietà - spiega Passaretti - che deve prima di tutto denunciare l’occupazione e poi farsi carico della messa in sicurezza”. Ma l’allontanamento è solo un palliativo. “Non serve, se poi si spostano di qualche metro - conclude Pierguidi - Non sono fantasmi che scompaiono, sono persone”.