A Bissoultanov 23 anni: "Se sei un uomo, scontali"

Confermata la condanna, ora è definitiva. Il babbo di Niccolò al ceceno latitante "La pena che ti è stata data è inferiore a quella che hai inflitto a mio figlio".

A Bissoultanov 23 anni: "Se sei un uomo, scontali"

A Bissoultanov 23 anni: "Se sei un uomo, scontali"

di Stefano Brogioni

FIRENZE

"E adesso, se sei un uomo, sconta la tua pena. E ricordati che la pena che è stata inflitta a te, non è certo quello che hai inflitto tu a Niccolò".

Luigi Ciatti parla come se avesse Rassoul Bissoultanov davanti. Per l’assassino di suo figlio, il picchiatore ceceno, non ci sono più appelli. La sua condanna a 23 anni per omicidio volontario è definitiva: lo ha stabilito ieri la Cassazione, respingendo il ricorso del difensore dell’imputato. Ma Bissoultanov non è lì davanti a questo genitore simbolo di un estenuante battaglia per la giustizia che, nonostante l’ultimo grado di giudizio, non si è ancora conclusa. Lo sarà, appunto, quando il ceceno, latitante da quasi due anni, sarà un’altra volta dietro le sbarre.

Però, la sentenza di ieri non è un traguardo da poco. Segna infatti il definitivo sorpasso dell’Italia sulla Spagna. Significa che Bissoultanov non se la cava con i quindici anni dei tribunali della Catalogna. "Non è neanche l’ergastolo che noi auspicavamo e che la procura aveva richiesto - aggiunge Ciatti -. Ma qui, senza le aggravanti, è stato condannato a 23 anni mentre in Spagna a quindici. A livello europeo c’è qualcosa che non funziona. Io devo ringraziare l’Italia, perché se non fosse stato per l’Italia Bissoultanov non avrebbe fatto neanche il processo in Spagna, perché se ne sarebbe andato prima".

Bissoultanov venne estradato in Italia nel dicembre 2021 dalla Germania. È tornato libero alcune settimane dopo alla luce di una istanza, accolta dai giudici, su un difetto di procedura. Provvedimento che la Cassazione dichiarerà nulla, ma troppo tardi.

Da quel giorno di lui si sono perse le tracce. Nel corso della requisitoria il procuratore generale ha ricostruito la drammatica vicenda affermando che l’imputato è un uomo esperto di arti marziali "consapevole della sua forza, che ha messo in atto la sua azione nei confronti di una persona inerme e indifesa". Non sussistono, a detta del pg, i crismi dell’omicidio preterintenzionale in quanto Ciatti venne colpito da un secondo colpo mentre era intento a rialzarsi dopo il primo pugno ricevuto. Come ricostruito dagli inquirenti il 22enne di Scandicci venne colpito con un calcio "quando era del tutto indifeso e inoffensivo - scrissero i giudici di primo grado nella sentenza poi confermata in appello - ancora stordito per il pugno ricevuto, in violazione di ogni più elementare regola di combattimento che fin da epoca antica proibisce di colpire l’avversario a terra". Proprio la conoscenza approfondita "della lotta da combattimento consentiva all’imputato di avere piena consapevolezza della potenzialità letale del calcio".