
di Bruno Berti
Se tra i dati sull’export della moda la nostra zona fa un’ottima figura (al netto del dannato Covid, è chiaro), questo è dovuto in buona parte alla maestria professionale e alle capacità imprenditoriali non solo delle grandi imprese che lavorano con il proprio marchio ma anche di chi lavora conto terzi, comunemente definiti terzisti. Sono le aziende a cui anche i grandi marchi possono fare riferimento per la produzione, qualche volta affidando loro la realizzazione di una parte del capo, altre volte facendolo lavorare tutto, naturalmente sulla base di un modello preciso da cui non si deve sgarrare.
Nella nostra area ci sono oltre 2.200 imprese che operano nella moda, accessori compresi, un buon terzo di tutte quelle della Città Metropolitana. Bene, un 60% di queste lavorano conto terzi, e anche grazie a questa caratteristica ingrossano i ranghi degli esportatori. Infatti, il mercato di sbocco principale della moda all’estero è la Svizzera, e non perché gli elvetici siano degli elegantoni inveterati: semplicemente, la Confederazione ospita i centri logistici delle grandi griffe, a cui affluiscono i prodotti realizzati negli altri Paesi.
Se questo è il quadro complessivo, è chiaro che anche l’attività del contoterzista, come quella del collega che opera con il suo marchio, non è tutto rose e fiori. Marco Landi, presidente nazionale di Federmoda-Cna, chiarisce il concetto ricordando che "l’impresa conto terzi che ha, ad esempio, venti clienti ha molti più vantaggi degli operatori più piccoli che si devono barcamenare con, poniamo, tre o quattro committenti". Se qualcosa muta nel mercato, e magari il cliente trova chi realizza ciò che chiede più a buon prezzo, si può perdere la commessa. E allora, se la ditta dispone di altri clienti il problema può essere risolto, altrimenti le cose si complicano: le difficoltà aumentano e il futuro può diventare nero. "Dalla loro quanti operano conto terzi hanno alcune specificità importanti: non hanno l’assillo del campionario, neppure problemi di distribuzione e neanche la necessità di partecipare a fiere, con l’ansia di non riuscire a far sottoscrivere un adeguato numero di commesse. Il rovescio della medaglia è rappresentato, spesso, da un lavoro con un orizzonte temporale molto breve, per la singola stagione, con la conseguenza di trovarsi a dover far fronte a consegne in tempi brevissimi, senza dimenticare che queste imprese possono essere esposte a richieste di diminuzione dei prezzi da parte della clientela. Non è un caso che le aziende che operano conto terzi siano quelle che ricorrono in misura maggiore alla cassa integrazione guadagni".
In tempi di crisi da epidemia le grandi griffe se la passano meglio, sia per il ruolo del loro marchio sia per la disponibilità di negozi propri, senza contare gli acquisti on line. Gli operatori più piccoli hanno invece il problema di non disporre di una rete di distribuzione adeguata, al netto delle chiusure dei punti vendita per l’esigenza di tenere il più possibile a casa le persone. Se i contoterzisti non hanno questi problemi, anche loro però risentono della crisi dei consumi, e devono pure fare i conti con il fatto che i committenti sanno quanto guadagnano e si comportano di conseguenza, avendo, per così dire, il coltello dalla parte del manico. Poi, come sempre, contano i rapporti, perché fare affari è pure una questione tra persone nutrita dalle competenze che si riesce a mettere in campo.
E’ chiaro che il quadro complessivo della moda che va all’estero fa anche i conti, oltre che con la situazione economica globale, di questi tempi decisamente sotto tono per effetto del virus, anche con i temi della geopolitica. Prima del Covid, chi esportava doveva ingegnarsi a cercare mercati di sbocco diversi dopo i guai della Russia causa sanzioni economiche e i problemi dei Paesi arabi per effetto del calo del prezzo del barile di petrolio. E questo sarà un problema che, al di là di momentanee riprese, non si risolverà: nel lungo periodo gli sceicchi dovranno fare i conti con un elevato ricorso a fonti energetiche diverse dal petrolio. Non è un caso che l’Arabia Saudita abbia cominciato a impegnarsi per cercare attività che vadano al di là dell’oro nero. Facciamo questi esempi perché la moda da export è quella di alto livello, e perciò anche costosa, che presuppone di poter vendere in Paesi dove ci sia un numero sufficientemente alto di cittadini con portafogli forniti.