SAMANTA PANELLI
Cronaca

«Io e il babbo al Teatro delle Vittorie, un genio col vestito della domenica»

Paolo Micheli: «Quella volta che misi al buio gli studi della Rai»

Paolo Micheli con uno dei gettoni d'oro vinti dal padre. Foto Nucci/Germogli

Empoli, 23 aprile 2016 - «Arrivò un telegramma a casa. Due righe e pochi giorni dopo partimmo in treno per Roma. Io, babbo Giovanni e mamma Franca». Paolo Micheli è il figlio del primo campione che il Rischiatutto ha conosciuto. Ai tempi del grande successo in tv, aveva 5 anni e quelle trasferte romane per lui avevano il gusto pieno dell’avventura. «Ricordo bene i nostri soggiori all’Hotel Clodio, tra i grandi artisti del tempo: sembrava di essere a Hollywood», racconta nel suo studio di avvocato empolese, dove di francobolli e cruciverba, amori del padre scomparso nel dicembre 2003, non c’è nemmeno l’ombra. «Non fanno parte del mio dna, in compenso c’è la pittura – spiega con un sorriso cordiale – La stessa passione che aveva spinto mio padre, dopo le scuole superiori a Empoli, a proseguire gli studi all’Accademia di belle arti di Carrara». La voglia di saperne di più fu la molla, forte tanto da spingerlo lontano da casa per poi tornarvi dopo la morte prematura della madre.

«Iniziò a lavorare in Comune e soltanto dopo completò gli studi, con tenacia – continua Paolo Micheli – Ma guai a chiamarlo dottore: era diplomato all’Accademia e quel titolo non era il suo». Un personaggio amatissimo nel borgo mediceo di cui, anche oggi che non c’è più, è rimasto memoria storica attraverso le sue collezioni. Immagini e documenti sistemati minuziosamente, con la certezza che sarebbero diventati storia. Giovanni Micheli lo conoscono tutti, perché è sempre stato tante cose: giornalista, luminare dell’enigmistica, ma anche marito e padre. Umile e amico di chi si rivolgeva a lui, allo sportello comunale come a casa.

«NON è mai cambiato nemmeno dopo Rischiatutto – sottolinea con orgoglio il figlio – Accolse le vittorie e la sconfitta per quello che erano: un gioco. Per andare a Roma indossava il vestito della domenica, nessun’altra smanceria. E nemmeno libri da ripassare, perché lui sapeva davvero già tutto. Nessun batticuore prima di entrare in studio, né per le prove né per la registrazione. Assistevo incantato, finché non combinai un pasticcio che mi costò un rimprovero di Mike Bongiorno e l’espulsione». Il piccolo Paolo, «assai vispo», saltellando per il teatro delle Vittorie inciampò. «Di fatto staccai un cavo e provocai un black out generale – ricorda come fosse ieri – Da quella volta, a Roma con noi venne nonna Velia: io e lei restavamo in hotel, babbo e mamma andavano in studio». Il Teatro delle Vittorie un mondo a sé, «simile per quanto ho visto allo studio della nuova edizione. Bianco e rosso, era enorme e c’era un caldo insopportabile. Sul pavimento i segni che indicavano le posizioni da tenere durante le registrazioni. A me bambino ricordava un circo». Con il suo immancabile domatore: «Mike Bongiorno era un professionista impeccabile. Solo una cosa gli faceva perdere le staffe e il suo ineffabile aplomb: l’imprevisto».