La sfida educativa: "L’aggressione ai giardini è lo specchio di un disagio"

La psicologa: "La responsabilità non è solo delle dinamiche di gruppo. Gli adolescenti si atteggiano da adulti, ma hanno bisogno di essere indirizzati". .

La sfida educativa: "L’aggressione ai giardini è lo specchio di un disagio"

La sfida educativa: "L’aggressione ai giardini è lo specchio di un disagio"

Giovani e disagio sociale, la sfida è educativa. L’aggressione ai danni di alcuni ragazzi ai giardini di Montelupo, da parte di una ventina di coetanei invita a riflettere sulle strategie di prevenzione. Ne parliamo con Margherita Carmignani, giovane psicologa empolese.

Episodi come questo sono sempre più frequenti anche nelle piccole comunità. Cosa li genera?

"Bullismo e violenza esistono da sempre ma oggi si individuano meglio. L’accesso costante ad internet e la possibilità di condividere la propria vita, osservando quella altrui, favorisce la diffusione di modelli sbagliati per i giovani".

Sono sintomi di un disagio individuale?

"Sintomi di un’incapacità di regolare adeguatamente i propri vissuti emotivi, la rabbia, la tristezza e la frustrazione. A volte derivano dall’esigenza di un membro del gruppo e gli altri lo seguono come fedeli gregari. La volontà di identificarsi con un gruppo per formare la propria identità è esigenza piuttosto pregnante nell’adolescenza".

I campanelli di allarme?

"Un cambiamento nei modi di fare, nel giro di amicizie, un peggioramento a livello scolastico. I genitori hanno paura, spesso, a parlare con gli adolescenti ma sono proprio loro che avrebbero bisogno di essere ripresi e corretti, anche se si mostrano contrariati. Si atteggiano da adulti ma hanno bisogno di essere indirizzati".

Cosa porta il branco a sfogarsi?

"Mette in atto comportamenti che i singoli non adotterebbero mai. Ma non possiamo attribuire responsabilità solo alle dinamiche di gruppo. La predisposizione individuale, l’educazione, la necessità di essere accettato giocano una parte enorme".

Un consiglio alle famiglie?

"Attenzione all’uso del telefono e dei social. Parlare di emozioni, fin da bambini. Nel caso dei genitori delle vittime, supportare i figli nelle azioni da intraprendere, chiedere loro se sentono la necessità di parlare di quanto successo con dei professionisti. E inviterei i genitori di chi ha commesso il fatto, a non coprirli e far sì che si assumano la responsabilità del gesto compiuto: solo così si diventa adulti".

Che ruolo ha la famiglia?

"E’ il primo gruppo nel quale siamo inseriti. Il problema non sono genitori troppi permissivi, ma genitori che hanno uno stile educativo incoerente e che non trasmettono ai figli la capacità di capire che le emozioni negative fanno parte dell’esperienza umana e come tali vanno elaborate. La colpevolizzazione non serve. Serve rendersi conto che può essere utile un aiuto o una guida. Se qualcosa va storto, non significa che babbo e mamma abbiano sbagliato tutto".

Ylenia Cecchetti