Giornata delle vittime del Covid, il ricordo degli angeli in corsia: "Sembrava non ci fosse una fine"

Loriana Meini: " Non sia solo la testimonianza del grave lutto che ha rappresentato la pandemia. Ma anche il riconoscimento all’impegno di tutti e, in particolare, del personale sanitario "

Alcune immagini del periodo più acuto della pandemia Covid

Alcune immagini del periodo più acuto della pandemia Covid

Empoli, 19 marzo 2023 – Nella Giornata nazionale per le vittime del Covid la mente torna a quel complicato periodo dove agli operatori della sanità era richiesto di agire nonostante le difficoltà, le poche conoscenze e certezze. La dottoressa Loriana Meini, direttrice assistenza infermieristica area territoriale Empoli, ricorda perfettamente ogni momento e con il suo contributo ripercorriamo quei momenti all’interno del San Giuseppe e non solo.

Che valore ha per lei la giornata del 18 marzo?

"Pensando al 18 marzo vorrei partire dalle considerazioni fatte dal presidente Mattarella al momento dell’istituzione della giornata, che deve rappresentare “l’occasione per ricordare i tanti che non ci sono più e, insieme, l’apporto di quanti hanno contribuito alla salvaguardia della salute collettiva, al funzionamento dei servizi essenziali. Lo spirito di sacrificio, la consapevolezza di sentirsi responsabili gli uni degli altri, che la stragrande maggioranza dei nostri concittadini ha dimostrato di possedere, costituiscono un patrimonio prezioso per le sfide che il Paese si trova ad affrontare, da non disperdere“. È lo spirito che condivido in modo che ricordare la pandemia non sia solo testimonianza del grave lutto che ha rappresentato, ma anche riconoscimento dell’impegno che c’è stato da parte di tutti e del personale sanitario in particolare per contrastarla allora e continuare a farlo oggi".

Vi hanno chiamato angeli ed eroi: si è riconosciuta in quella definizione?

"È una definizione enfatica nella quale non mi riconosco. Siamo stati quello che siamo sempre e che troppo spesso viene dimenticato: dei professionisti che cercano di fare il loro lavoro al meglio e che la pandemia aveva esposto a condizioni di lavoro sconosciute e con un rischio professionale che raramente era stato così elevato. Non è facile lavorare sapendo di esporre se stessi e i propri cari a un rischio che allora era compreso solo come alto quando non addirittura mortale. Eppure è stato affrontato senza spavalderia e con tanto sacrificio, consapevoli che avevamo più strumenti, rispetto ad altri e proprio per questo, maggiori probabilità di successo. Anche quando eravamo “angeli ed eroi” non dimentichiamo tuttavia che qualche condominio non era contento di avere al suo interno medici o infermieri che lavoravano in ospedale. Di tutta l’enfasi e l’ammirazione di allora rimane la riconoscenza di quelli che durante questo periodo ci hanno sperimentati e che hanno vissuto con noi vittorie o anche sconfitte, gli altri penso abbiano dimenticato tutto quanto dicevano allora, compresa l’attenzione che si diceva sarebbe stata messa sulla carenza di personale o sul trattamento economico".

Il Covid come l’ha cambiata?

"L’esperienza dei primi periodi Covid ci ha portato a un rispetto maniacale delle procedure, alla relazione costante e a un indispensabile rapporto interprofessionale. Anche le risposte e le organizzazioni sono via via cambiate per adeguarsi ai bisogni e all’evolversi quasi giornaliero delle conoscenze a cui seguivano, con ritmo frenetico, disposizioni e ordinanze sia ministeriali che regionali. Di fronte al “grande nemico” ci siamo sentiti una ”comunità solidale e coesa”, in fondo anche gruppo di amici dove ognuno cercava di dare il meglio per sè e per gli altri".

Ha avuto paura del contagio?

"Non sono stata contagiata, ma ho avuto molta paura. Anche gli “eroi” hanno paura. Ci sono state paure personali e professionali: il timore del contagio e la paura di una malattia di cui si conosceva poco. La necessità di isolamento prolungato, la conoscenza di persone, anche colleghi che finivano in rianimazione, gli esiti non sempre favorevoli. E poi la paura della non tenuta del sistema; l’iniziale carenza di dispositivi di protezione individuae, i posti letto da convertire rapidamente in letti Covid, la situazione delle Rsa sul territorio, il contagio di tanti colleghi e dover gestire i servizi senza di loro, la responsabilità di tante delle decisioni che dovevano far funzionare tutto questo. Ci sono stati momenti dove sembrava che tutto quello che stava accadendo non avesse una fine".

Qual è stato il momento più difficile?

"Accogliere giovani colleghi infermieri e oss alla prima esperienza lavorativa e inserirli nei reparti Covid: mi ricordo gli occhi al di sopra delle mascherine con cui ci guardavano, difficili da dimenticare. E un altro momento difficile era quello del fine vita dei pazienti vissuto senza la vicinanza dei loro cari. Noi tante volte siamo stati l’unico tramite. Mi preme però citare anche un momento bello".

Quale?

"L’arrivo dei primi vaccini il 27 dicembre del 2020. Allora non sapevamo che la strada sarebbe stata ancora molto lunga ma ha rappresentato una luce in fondo al tunnel".