
Beatrice Cioni
Empoli, 21 maggio 2019 - Qual è l’idea forte che propone per i prossimi cinque anni?
«Voglio dare concretezza allo slogan “Decidiamo Empoli” per tornare protagonisti e dare un ruolo alla città nelle politiche di area e in regione. Una visione che manca all’attuale amministrazione, che ha perso la dimensione progettuale per diventare una succursale di Firenze. Dobbiamo far decollare l’Unione dei Comuni e prenderci cura dei cittadini e della città stessa, carente di manutenzione».
Il Comune non crea posti di lavoro ma ha delle carte da giocare sul tema. Cosa c’è da fare?
«Dovremo partire dal Comune, che ha organici ridotti all’osso e un’organizzazione trascurata. Smettiamo di affidare all’esterno i servizi ordinari, il lavoro pubblico è al servizio dei cittadini, e comunque manteniamo la cabina di regia. Bene l’intesa sugli appalti con i sindacati, anche se i tempi dell’annuncio sono un po’ sospetti di mossa elettorale. Si devono aumentare i controlli e tutelare le condizioni di lavoro nel settore socio sanitario. Se eletta, nominerò un assessore al lavoro. La nostra zona ha capacità produttiva, con le piccole e medie imprese, che è anche un arricchimento culturale. E poi lavoro è anche qualità di vita. E il concetto di qualità si deve applicare anche all’occupazione. C’è bisogno di un dialogo continuo con le forze sociali nell’ambito di una visione che la politica deve avere. Punto a servizi di alto livello e su una burocrazia che funziona. A Empoli serve un sistema formativo d’avanguardia e un impegno sulla legalità che eviti scorrettezze, ad esempio in tema di sicurezza. Voglio anche a valorizzare turismo e agricoltura».
Le infrastrutture sono una questione scottante...
«E’ vero. Basti pensare a quel punto debole che è la nuova 429, con i suoi tempi biblici che hanno impoverito la Valdelsa e tutto il territorio. Se un pezzo della zona si impoverisce è una sconfitta per tutti. Non dimentichiamo poi il problema ferrovie, a partire dai biglietti troppo cari per arrivare alle merci, per cui servirebbe uno scalo dedicato a Ponte a Elsa. Dovremo anche risolvere la questione della linea per Siena, ancora a binario unico. Gli autobus non sono un vero servizio: servirebbe maggiore integrazione con i treni. Non dimentichiamo, infine, le infrastrutture immateriali, il 5G ad esempio. Non si deve aspettare che arrivi, dobbiamo essere protagonisti, guardando anche alle esigenze delle aziende».
Sull’Unione e sul numero dei comuni come la pensa?
«Noi abbiamo avuto l’Associazione Intercomunale, in cui una classe politica illuminata ha governato nell’ottica di un territorio unico. Chi ha avuto il potere negli ultimi cinque anni ha perso un’occasione: nessuno ha creduto nell’Unione e quindi anche i cittadini si sono adeguati. Le funzioni delegate sono state poche, con il sociale delegato all’Asl, e una serie di problemi, a partire dai rapporti con i vigili. Serve una discontinuità reale con una programmazione comune su sviluppo turismo e gestione del personale e naturalmente un organismo eletto e non nominato dall’alto. Punto a un Comune unico per governare meglio ed avere un peso nella metropoli e in Regione, coinvolgendo sempre e comunque i cittadini. Penso di assegnare anche un assessorato alle politiche territoriali, cioè all’Unione».
Un tema che le è caro è quello dei beni comuni, vero?
«Io sono per l’acqua pubblica. Vedo che adesso il sindaco Barnini è della stessa idea, ma qualche mese fa è stata allungata la concessione ad Acque Spa fino al 2031. Serve un atteggiamento realmente diverso. In consiglio avevo chiesto, con altri, di far gestire i giardini pubblici ai cittadini. La proposta è passata, ma poi non se n’è fatto nulla. Se ci scippano le idee, almeno le concretizzino. Voglio valorizzare il ruolo di Publiservizi rendendo la società un supporto reale per i consigli comunali e per l’attività degli stessi Comuni».
Quali proposte ha per la sanità?
«Il Comune deve essere competente in materia per garantire l’accesso alle cure, avere un’attenzione concreta alle malattie croniche ed impegnarsi per stili di vita salutari, che sono anche una questione culturale, e non solo medica. Le recenti riforme hanno avuto l’effetto di convogliare risorse a Firenze. Serve invece una sanità territoriale ‘di iniziativa’, con i medici di famiglia, che va a cercare i malati cronici. Servono più Case della salute e una Società della salute che abbia un ruolo progettuale con l’obiettivo di innalzare la qualità di vita. Punto anche a un’anzianità attiva e a rivendicare i diritti dei cittadini non autosufficienti, le cui famiglie non possono essere lasciate sole. E devono aumentare gli assistenti sociali».
Si parla molto di antifascismo. E’ un richiamo che serve?
«Certo. Se non ci fosse stato, non avremmo la democrazia e la Costituzione. Sono preoccupata per parole e atti di odio da parte di alcuni politici che tradiscono l’antifascismo. Che invece deve essere nelle scelte di tutti i giorni, ad esempio con diritti di cittadinanza, e non assistenza, ai soggetti più fragili».