BRUNO BERTI
Cronaca

Crisi di vocazioni e costi alle stelle Moda, la grande fuga verso l’estero

La tendenza: sempre più imprenditori empolesi scelgono Tunisia, India o Cina per realizzare i loro capi. Ormai il lavoro nelle confezioni non è più appetibile per i giovani. Così si aggira il problema della manodopera. .

Crisi di vocazioni e costi alle stelle  Moda, la grande fuga   verso l’estero
Crisi di vocazioni e costi alle stelle Moda, la grande fuga verso l’estero

di Bruno Berti

Si potrebbe parlare di crepuscolo del Dragone d’Asia nostrano, se i numeri del lavoro cinese, realizzato a casa nostra, nella moda non fossero così elevati da consigliare una certa dose di prudenza. Però qualcosa sta cambiando e quindi le imprese dirigono la loro attenzione verso altre opportunità di produzione, magari in altri Paesi. Certo è che le schiere dell’esercito della manodopera di riserva di sua maestà la moda dell’Empolese, le aziende degli immigrati cinesi, sono ancora molto ben presenti nei conti di quelle imprese nostrane che danno corpo al paradosso per cui lo sbocco principale delle nostre esportazioni della bellezza, diciamo così, è la Svizzera. E non perché gli elvetici siano diventati dei dandy compulsivi, quanto perché nella terra degli orologi si trovano i centri logistici delle grandi griffe della moda, i clienti che danno concretezza alla spinta per l’export che caratterizza il mondo delle confezioni nostrane. Bene, se i cinesi hanno soppiantato le confezioniste che hanno innervato di sé un particolare tipo di classe operaia, di cui siamo stati i precursori, in cui le donne erano la stragrande maggioranza della forza lavoro, ora sono i cinesi ad avere qualche problema, di crescita si potrebbe dire.

Il settore dei terzisti orientali, che ha sopperito alla rarefazione delle cucitrici perché le donne già da anni stavano compiendo un ulteriore salto di qualità sociale, si trova a sua volta di fronte a una crisi di vocazioni. Già, perché le seconde generazioni sono inclini a privilegiare altri lavori, come la ristorazione e la cura della persona, senza dimenticare che il lavoro ferve sempre nei laboratori dei cinesi, ma a ritmi meno forsennati di quelli a cui eravamo abituati anni fa, quando in quelle aziende non c’era praticamente stacco tra gli spazi dedicati al lavoro e a quelli di vita. Se a queste considerazioni si aggiunge il fatto, come accennato, che i nostri giovani non hanno certo come prima aspirazione quella di lavorare come confezionisti, è evidente che il problema della manodopera si presenta come di difficile soluzione. I nostri industriali però, non sono abituati a darsi per vinti facilmente, e allora si cercano strade alternative, sempre nel nome di bilanci con numeri sempre migliori. E così ci sono imprese, non poche dicono imprenditori e manager del settore, che fanno produrre i loro capi in Tunisia (dove imprenditori dell’Empolese erano andati a produrre già molti anni fa), altre in India, senza dimenticare la Cina, in questo caso la madrepatria dei migranti che avevano garantito alle confezioni anni di soddisfazioni economiche.

Se si guarda con un po’ di attenzione a questo nuovo fenomeno, si capisce che non si parla di prodotti di alto livello. Per esempio si usano materie prime del luogo perché i costi di spedizione di tessuti dall’Italia sarebbero alti, o comunque vanificherebbero i risparmi su cui si conta. Non sono poche le imprese nostrane che realizzano all’interno prototipi e campioni in ‘casa’ per poi affidare la produzione vera a propria, quella ordinata dai clienti, in altri Paesi, oppure ai ‘nostri cinesi’. Di frequente questo modo di produrre, certo il pret à porter e non l’alta moda, serve anche ad ammortizzare costi, difficilmente comprimibili, come quelli legati al marchio, alla pubblicità e alle sfilate. E comunque non c’è da meravigliarsi dei prezzi al consumatore che, per prodotti di un certo livello, non sono sempre e comunque abbordabili nonostante le manovre per risparmiare sui costi. Nella catena che dal produttore arriva all’utente finale, ci sono, ad esempio, alcuni passaggi, e ognuno di questi comporta un aumento del prezzo finale.