Lavoro, i giovani sono attenti alla qualità di vita. "Ma non è vero che sono fannulloni"

Il tema dell'impiego, il punto con gli esperti: “Non si guarda tanto al guadagno, quanto alla qualità delle condizioni di lavoro e all'opportunità di crescita professionale”

Un gruppo di giovani camerieri

Un gruppo di giovani camerieri

Firenze, 21 maggio 2022 – La pandemia ci ha cambiati tutti, ha cambiato anche i giovani, che adesso guardano in modo diverso alle opportunità che il mercato del lavoro offre loro. Se prima bastava, per iniziare, un 'lavoretto' da cameriere o da baby sitter, adesso non si accontentano più. Non vogliono paghe basse, spesso sono ragazzi che hanno studiato tanto, hanno una laurea e un master, conoscono più lingue. E sopratutto vogliono poter conciliare lavoro e vita privata. Come dire, basta vivere per lavorare, iniziamo a lavorare per vivere.

Così, nella top ten dei lavori più ambiti dai giovani sono entrate nuove professioni, tipo l'influencer o lo youtuber. Ma sono tornate in auge le professioni più classiche: il medico, il veterinario, l'avvocato, l'ingegnere, l'insegnante. In tanti, poi, sono tornati a cercare il lavoro impiegatizio nel settore amministrativo. Un lavoro sicuro, mediamente ben pagato, che consente di avere il fine settimana libero per dedicarsi alla famiglia e alle proprie passioni.

“I giovani sono sempre più preparati – spiegano Alessio Nasoni e Simona Pirrone, dello sportello lavoro della Cisl di Firenze e Prato – e il Covid ha cambiato le prospettive. Adesso i ragazzi non stanno attenti solo al mero guadagno, ma anche a quelli che sono l'ambiente di lavoro, le prospettive di crescita professionale, la conciliazione di vita e lavoro. Si vogliono realizzare”.

Per questo non vogliono più fare i camerieri o gli aiuto cuochi? “No, non è vero. Purtroppo con la pandemia e la chiusura di locali e alberghi, molti hanno ripiegato su altri lavori e lì sono rimasti. Ultimamente si assiste ad un ritorno di interesse anche per il settore turistico. Non è vero nemmeno che i giovani preferiscano stare in disoccupazione o prendere il reddito di cittadinanza anziché lavorare”, rispondono. “Sono polemiche strumentali. Ovviamente, quando si rifiuta un lavoro, bisogna indagare che tipo di contratto è stato proposto, quale offerta economica, perché rispetto a prima i giovani sono senz'altro meno disposti ad essere sottopagati”.

“Diamo l'opportunità ai ragazzi – proseguono – di entrare nel mondo del lavoro con un'adeguata forma contrattuale, con una formazione, che l'azienda sempre meno è disposta a dare, e con possibilità di crescita professionale”. “In quanto al ruolo delle scuole, all'accusa che viene loro mossa di non preparare i giovani ad entrare nel mondo del lavoro, dobbiamo renderci conto che mancano spesso i fondi per il sistema scolastico e d'altra parte, se prima l'azienda formava il ragazzo, se lo 'tirava su', adesso vuole persone già pronte. E' dunque da rivere tutto il sistema di politiche attive e di formazioni preparatorie, che deve essere più adeguato a quello che le aziende cercano”, concludono Nasoni e Pirrone.