
Massimo Ranieri in "Teatro del porto"
Firenze, 17 maggio 2017 - «SEMBRA impossibile ma c’è un legame molto stretto tra Firenze e Napoli. Un grande sostenitore di Raffaele Viviani era Vasco Pratolini per cui nutriva una grande stima e simpatia. Io questa cosa la segnalerei proprio. E’ forse più di una curiosità, visto che il primo film di Massimo è stato proprio Metello».
Dopo il successo di Viviani Varietà, Massimo Ranieri da protagonista e il regista Maurizio Scaparro incontrano ancora una volta il drammaturgo napoletano con lo spettacolo «Teatro del Porto» che debutterà alla Pergola, in cartellone dal 23 al 28 maggio. Prodotto dalla compagnia Gli Ipocriti, i versi, la prosa e la musica di Raffaele Viviani il progetto ha la direzione artistica dello stesso Ranieri. In scena bravi attori come Ernesto Lama, Angela De Matteo, Gaia Bassi, Roberto Bani, Mario Zinno, Ivano Schiavi, Antonio Speranza, Francesca Ciardiello.
Scaparro, a cosa si deve questo ritorno di Raffaele Viviani?
«Di sicuro è stata perchè Massimo credeva in questa idea di dare un ulteriore contributo alla consocenza di questo straordinario autore che lui incarna perfettamente. Ci sono autori che chiamano, no? E questo è accaduto a Ranieri con Viviani. Ed è anche strano che sia stato amatissimo da Pratolini per il quale Ranieri, con Metello, ha praticamente debuttato al cinema. La vita è una sorpresa».
Eduardo a Firenze ha fondato la prima scuola di drammaturgia: il paragone con Viviani un po’ viene da sé.
«Ed è giusto che sia così, ma in realtà c’è una differenza fondamentale tra due personaggi di grande spessore. Eduardo è più conosciuto anche all’estero. Ma lui lavorava su Napoli vedendola dalla sua finestra. Viviani, invece, la raccontava ugualmente ma vivendola dalla strada. Questa è la diferenza fondamentale. E in più quest’ultimo era naturalmente portato a quelle che erano le componenti dell’arte napoletana, e cioè la musica, la poesia, il raccontare».
Lei è un maestro della regia: cosa l’ha colpita?
«Che Viviani sia stato una scoperta tardiva del teatro italiano ma che alla fine è arrivata. A me piace ricordare anche l’importanza storica del varietà nel teatro italiano. E lui era a tutti gli effetti un uomo del varietà quando ancora quasi non esisteva la definizione. In tutti gli atti unici o nei tre atti scriveva sia poesia che parole e musica. Significa che aveva in sè l’entità stessa del varietà».
Cosa c’è di attuale in questo racconto?
«Il ricordo, la storia, l’approfondimento e il poter contribuire con questo spettacolo a dire che esiste un omaggio conoscitivo di quello che è il clamoroso patrimonio di canzoni, poesia sketch di Viviani. Basta accendere la televisione: tutti sono partiti da qui è evidente».
E Massimo Ranieri?
«Chi se non lui?»