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Meteo spaziale, c’è anche Firenze nella scoperta che svela i segreti del Sole

Dall’Infn e dall’Università di Firenze un contributo chiave allo studio internazionale che distingue le particelle solari più pericolose per astronauti e veicoli spaziali

Il sistema solare (Olycom)

Il sistema solare (Olycom)

Firenze, 1 settembre 2025 – C’è anche Firenze in uno studio chiave per migliorare le previsioni del meteo spaziale.

Dopo le prime immagini storiche del polo Sud della nostra stella, la sonda Solar Orbiter dell'Agenzia Spaziale Europea ha ottenuto un altro risultato fondamentale per migliorare le previsioni, appunto, del meteo spaziale: è infatti riuscita a tracciare le particelle superveloci prodotte dal Sole fino alla loro origine, distinguendo tra quelle emesse con i brillamenti solari e quelle invece generate con le espulsioni di massa coronale, o Cme. Questo successo, pubblicato sulla rivista Astronomy and Astrophysics dal gruppo guidato dall'Istituto Leibniz per l'astrofisica di Potsdam, in Germania, è cruciale proprio perché il secondo tipo di particelle pone una minaccia molto più seria per i veicoli spaziali e per gli astronauti. Alla ricerca hanno contribuito anche ricercatori italiani dell'Istituto Nazionale di Astrofisica di Capodimonte, Torino e Arcetri, dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare di Firenze e delle Università Carlo Bo di Urbino e di Firenze.

"Vediamo una netta differenza tra gli elettroni che si allontanano dalla superficie del Sole a raffiche tramite i brillamenti solari e quelli associati alle Cme, che rilasciano un'ondata più ampia di particelle per periodi di tempo più lunghi”, afferma Alexander Warmuth, che ha guidato i ricercatori. Solar Orbiter ha potuto osservare gli elettroni a diverse distanze dal Sole e ciò ha permesso di analizzare come si comportano durante il loro viaggio attraverso il sistema solare, facendo luce sul misterioso ritardo che spesso si osserva tra gli eventi come i brillamenti e il momento in cui le particelle vengono effettivamente rilasciate nello spazio. “Si è scoperto che questo è almeno in parte correlato al modo in cui gli elettroni viaggiano nello spazio”, dice Laura Rodríguez-García di Esa e Università spagnola di Alcalà, co-autrice dello studio: “Gli elettroni – conclude, – incontrano turbolenze, si disperdono in direzioni diverse e così via, quindi non li individuiamo immediatamente e questi effetti si accumulano man mano che ci si allontana dal Sole”.