'Io resto vicino a te': un unico numero telefonico e tante fedi a fianco di chi soffre

All''iniziativa di padre Guidalberto Bormolini, dei “I Ricostruttori della Preghiera”, hanno aderito Unione Buddhista, Chiese Evangeliche, Unione Induista Italiana, diocesi Ortodossa Romena, Movimento dei Focolari, Comunità Ebraiche e Islamiche

Padre Guidalberto Bormolini

Padre Guidalberto Bormolini

Firenze, 8 maggio 2020 - Da sempre, nella storia dell’umanità, i riti segnano le grandi fasi di passaggio della vita dei singoli e dei popoli. Aiutano ad affrontarle, superarle, esorcizzarle. Ci sono riti per la vita che inizia, riti per il passaggio all’età adulta, riti per la nascita di una famiglia, ma soprattutto per il momento più difficile da affrontare: la morte. Fino a pochi giorni fa però (e in parte anche adesso), probabilmente per la prima volta da quando l’uomo popola la terra, il Coronavirus ha cancellato tutto questo e persino la morte è stata spesso affrontata in solitudine, sia da chi ha vissuto i suoi ultimi giorni sia dai familiari che sono rimasti.

Per aiutare ad affrontare queste difficoltà, proprio dalla Toscana è partito il servizio “Io resto vicino a te”, nato da un’idea dell’associazione Tutto è vita Onlus e da padre Guidalberto Bormolini, monaco della comunità “I Ricostruttori della Preghiera”, antropologo, tanatologo, docente dell’Università di Padova e fondatore della prima scuola in Europa per l’assistenza spirituale non confessionale al fine vita, a Prato. Il suo progetto, di respiro nazionale, ha subito ricevuto il plauso della Regione Toscana e ha visto l’adesione delle Chiese Evangeliche della Toscana, della Diocesi Ortodossa Romena d’Italia, del Movimento Focolari Toscana, dell’Unione Buddhista Italiana, dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, dell’Unione delle Comunità Islamiche d’Italia e dell’Unione Induista Italiana.

Padre, come è nato "Io resto vicino a te"?

«Siamo partiti all’inizio del lockdown sulla base della nostra lunga esperienza. L’assistenza spirituale, non solo prettamente religiosa, è ritenuta fondamentale nei casi gravi di malattia. Ci sono studi scientifici e ricerche che dimostrano la sua centralità nei bisogni di uomini e donne. Noi, da dieci anni, operiamo in questo ambito e facciamo formazione anche al personale sanitario: molti operatori che stanno lavorando a contatto con i pazienti Covid hanno partecipato ai nostri corsi. Alla luce di tutto ciò, ci è sembrato fondamentale assicurare una vicinanza ai malati, ai loro familiari, ma anche a medici e infermieri che vivono forme di isolamento forzato, tanto necessarie quanto dure da affrontare».

Come funziona il servizio?

«C’è un semplice numero telefonico 055.3951050, raggiungibile da chiunque abbia bisogno, sette giorni su sette, dalle 14 alle 20. Rispondono due psicologhe e due Oss che poi smistano le chiamate: le persone vengono messe in contatto con soggetti diversi in base alle loro esigenze e al loro credo religioso. Abbiamo 140 volontari operativi e a disposizione ogni giorno».

Chi vi chiama?

«Abbiamo diverse categorie. Molte telefonate sono arrivate da persone che avevano subito un lutto senza poter salutare il proprio caro con un funerale e, spesso, senza potergli stare accanto negli ultimi giorni di vita. Si tratta di una situazione antropologicamente inedita: neppure durante le guerre i funerali erano mai stati vietati. Certo poteva succedere che non fossero celebrati per qualche motivo, ma in queste settimane ci siamo trovati di fronte a uno stop sistematico. Non poter elaborare il lutto in modo tradizionale è traumatico per molte persone, che ci chiedono aiuto per superare questa fase».

Ci sono altri motivi ricorrenti?

«Sicuramente almeno altri tre. Il secondo per frequenza riguarda donne e uomini con malattie gravi o terminali che, proprio per il Coronavirus, devono stare lontane dai propri cari. Questa somma di dolore è molto difficile da affrontare e impedisce tutta una serie di passaggi fondamentali, come il salutarsi e lo starsi accanto in un momento cruciale dell’esistenza. La terza categoria è data dai ‘care giver’, coloro che hanno una persona cara ricoverata e che, a loro volta, soffrono per questo forzato distacco. Certo, per fortuna, ci sono le telefonate e le videochiamate, ma non è la stessa cosa. La quarta categoria infine è data dagli operatori sanitari: medici, infermieri, Oss e altri addetti vivono con sofferenza alcune procedure che il Coronavirus impone e il non potere accontentare i malati in certe richieste, in primis quella del contatto con i familiari».

Quante telefonate ricevete?

«Circa 20-30 al giorno al centralino, ma molti continuano poi a essere seguiti dai nostri volontari in modo stabile. Il contatto prosegue finché la persona ne ha bisogno. Abbiamo chiamato il progetto “Io resto vicino a te” ed è quello che facciamo».