
Il generale Massimo Panizzi
Firenze, 31 maggio 2025 – C’è un filo rosso che lega gli alpini all’Italia. Le truppe stoiche delle centomila gavette di ghiaccio, dell’epico ritorno a casa senza mezzi e in mezzo all’inverno russo, che hanno attraversato il tempo e si sono rese protagoniste nelle missioni umanitarie dei nostri giorni. Un privilegio farne parte, come ci ricorda Massimo Panizzi, generale di corpo d’armata in congedo, nato a Carrara, attualmente residente a Firenze dove ha terminato la sua carriera da comandante dell’Istituto geografico militare.

“Cuore Alpino – Il racconto-intervista di un comandante alpino e padre tra montagne, missioni e memoria” è il messaggio che Panizzi ha voluto lasciare ripercorrendo i momenti più significativi della sua attività di militare e comandante sia in Italia, sia nelle missioni all’estero. Panizzi è stato impegnato in missioni di mantenimento della pace in Bosnia, Kosovo, Iraq e Afghanistan, portando avanti il suo impegno con la stessa determinazione e passione che caratterizzano la tradizione degli Alpini. E’ stato, tra i tanti incarichi, Capo Ufficio Stampa al Ministero della Difesa, Vice Rappresentante Militare alla NATO, Comandante della Brigata Alpina Taurinense, dell’Ottavo Reggimento Alpini e del Battaglione Alpini “Susa”.
Generale, cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?
"L’idea è venuta a un mio ex Sottotenente degli Alpini e ad alcuni amici e colleghi che, ascoltando il mio saluto finale all’Esercito, mi hanno esortato a raccontare la mia esperienza in un libro. All’inizio ho esitato, poi mi sono convinto: trasmettere ai giovani un’esperienza come la mia e quella di tanti miei colleghi è una specie di dovere. Spero che anche molti altri Ufficiali in congedo lascino testimonianza scritta di quello che hanno realizzato e imparato. L’esperienza non si compra al mercato. E’ storia vera e vissuta e va raccontata perché altri possano farne tesoro. Ognuno di noi ha storie uniche da raccontare, non devono andar perdute”.
Nel suo libro lei cita i motti alpini e la loro attualità. Tra i tanti, lei predilige “Tasi e Tira”. Perché?
"Perché quelle due semplici parole sono il manifesto di uno stile di vita. In un’epoca contraddistinta dal “tutto e subito” e dalla tendenza sociale alla lamentela, alla conflittualità e alla critica aprioristica, quel semplice motto montanaro ci dice di non perderci in chiacchiere, di puntare all’obiettivo e andare avanti. Tacere non vuol dire astenersi dal rappresentare il proprio punto di vista, ma di evitare inutili discussioni e badare al sodo. Nel “Tasi e Tira” è racchiusa anche la virtù della “Pazienza Alpina””.
Cosa si intende per Pazienza Alpina?
"La pazienza del fare, passo dopo passo, senza chiedere perché, senza aspettarsi applausi. La Pazienza, intesa alla maniera alpina, è una forma di dignità silenziosa: si accetta la fatica, la strada in salita, non perché si è rassegnati, ma perché si sa che raggiungere la vetta è difficile e prende il suo tempo. Lo spirito è davvero in quelle tre parole: “Tasi e Tira”. Sta zitto, e vai avanti. Non lamentarti, non mollare. Fai il tuo dovere, anche se nessuno ti guarda”.
Nel libro lei parla dell’arte del comando. Cosa significa oggi comandare un’unità militare?
"Significa assumersi delle responsabilità enormi, dovendo preparare uomini e donne alla possibilità di dover combattere in guerra. Significa avere coraggio, entusiasmo, onestà intellettuale e dedizione assoluta. Comandare è una missione. Oggi un comandante deve essere un leader, non soltanto un bravo manager”.
E’ ancora convinto che in Italia la cultura della Difesa stenti a far breccia nell’opinione pubblica?
"Credo sia un retaggio del passato. Basterebbe studiare la storia in modo obiettivo, non strumentalizzato, avere il coraggio di liberarsi di slogan e preconcetti fuorvianti. Difesa e Sicurezza sono le condizioni fondamentali e pre-condizionali per l’esistenza di ogni altro diritto, libertà o forma di convivenza civile”.
Quali suggerimenti darebbe al Ministro Crosetto?
"Non credo che il Ministro abbia bisogno dei miei consigli. Mai come in questo periodo la Difesa e le Forze Armate stanno prodigandosi in sforzi eccezionali per far conoscere le loro attività al servizio del Paese e della sicurezza internazionale. La mia opinione è che fondamentalmente, in un mondo dove le minacce sono sempre più imprevedibili e ibride (terrorismo, cyberattacchi, disinformazione), la Difesa non può essere più considerata solo “dei militari”.
Può spiegare meglio?
"Serve una cultura più diffusa: nelle scuole, nei media, nei territori, nella politica. Una società che non conosce il valore della difesa è una società più vulnerabile, anche dal punto di vista democratico. L’obiettivo è educare i cittadini non alla guerra, ma alla responsabilità collettiva per la pace e la sicurezza. Si deve capire che non possono esistere libertà di parola, educazione, giustizia o benessere economico in un contesto in cui le persone non sono sicure o lo Stato non è in grado di difenderle”.