ANDREA MUCCI
Cronaca

Fondazione La Pira per “pace, dialogo tra fedi, giustizia sociale, contrasto alla povertà”

Le parole di Patrizia Giunti, presidente della fondazione Giorgio La Pira, realtà da anni impegnata nella conservazione e valorizzazione della memoria del ‘sindaco santo’ attraverso iniziative culturali e sociali che ne perseguono il pensiero e l’azione

Patrizia Giunti, presidente della fondazione Giorgio La Pira

Patrizia Giunti, presidente della fondazione Giorgio La Pira

Firenze, 9 maggio 2025 - Per conoscere meglio la storia e l’impegno della fondazione La Pira, nata nel 1995 per portare avanti i valori che avevano contraddistinto la vita di Giorgio La Pira, figura storica e politica ispirata dalla vocazione cristiana, e oggi più che mai indispensabili nell’attuale momento di crisi mondiale, abbiamo intervistato la sua presidente, la professoressa Patrizia Giunti.

Presidente, a Lei chiedo, quale la mission della fondazione e le sue principali attività?

“La fondazione, custode dell’archivio e della biblioteca di Giorgio La Pira, ha come scopo quello di conservare e valorizzare la memoria del professore, attraverso la consultazione, lo studio e la pubblicazione critica dei suoi scritti ma anche promuovendo iniziative culturali o di utilità sociale che lascino affiorare il pensiero del ‘sindaco santo’ e il ricordo delle sue attività per la giustizia sociale, la promozione degli ultimi, la pace tra i popoli.”

Qual è per voi, in questo periodo di profonda crisi internazionale, l’attualità del messaggio di La Pira, fervente cristiano – appartenente a una felicissima stagione per la Chiesa fiorentina insieme a Elia Dalla Costa, don Giulio Facibeni e don Lorenzo Milani – ma anche politico che prediligeva i poveri e i sofferenti ed artefice di pace fra i diversi popoli?

“Penso che gli scenari di politica internazionale con i quali quotidianamente ci confrontiamo rendano il messaggio di La Pira non semplicemente un’eredità intellettuale e morale su cui riflettere ma un autentico monito politico da ascoltare e condividere. Gli obiettivi per i quali La Pira aveva speso ogni sua energia (pace, dialogo tra le fedi, giustizia sociale, contrasto alla povertà) conoscono oggi, nella stagione storica regressiva che stiamo attraversando, un clamoroso arretramento e impongono una riaffermazione ancora più netta dei valori proclamati dal professore. La rinnovata legittimazione etica, e non solo politica, della guerra; la rivalutazione dello scontro armato come unico strumento di risoluzione delle controversie, il sostanziale rifiuto dei canali diplomatici e degli organismi sovranazionali quali strumenti elettivi per la costruzione della pace: è questa la visione di presente che oggi ci accompagna, con la drammatica recrudescenza bellica nel mondo, e in particolare nelle terre per le quali maggiormente La Pira si era prodigato: dallo storico viaggio in Unione Sovietica nel 1959 alle tante missioni in Israele, nei paesi arabi, in quell’area mediterranea che avrebbe dovuto ospitare l’incontro pacificatore delle tre fedi abramitiche. Contro le sofferenze indicibili imposte alle popolazioni civili, contro la distruzione di luoghi di cura e di preghiera e la dispersione di patrimoni secolari di memoria e cultura, si leva ancora più forte il grido ‘Le città non vogliono morire’ di cui La Pira si era fatto portavoce sin dal 1954 a Ginevra. E come non far risuonare, contro l’attuale riemergere delle politiche di deterrenza nucleare - afferma Patrizia Giunti, presidente della ‘fondazione Giorgio La Pira’ - quel ‘crinale apocalittico della storia’ da lui tante volte evocato come chiamata senza ritorno per l’umanità, per scegliere tra la pace universale o la fine della vita sulla terra: mentre gli aumenti di spesa pubblica in favore del riarmo, sottraendo risorse ai bisogni umani primari, al sostegno allo sviluppo dei popoli, alla elevazione materiale e spirituale degli ultimi, offendono quella profezia di Isaia cui La Pira, - e con lui John Fitzgerald Kennedy e Paolo VI nel suo storico discorso alla Assemblea Generale ONU - affidava la propria speranza per la conversione della potenza distruttiva delle armi nella energia creativa degli strumenti di lavoro dell’uomo.”

Non si dica mai quella solita frase poco seria: ‘la politica è una cosa brutta’. Questo diceva il ‘sindaco santo’. Oggi spesso in politica si è persa quella profondità e quell’ampiezza culturale e morale che contraddistingueva il politico La Pira, qualità che dovrebbero essere insite nell’azione politica come servizio, ma che invece sono spesso assenti. Quale la causa? Forse il super-ego ha soffocato responsabilità e umanità?

“Il tema della crisi della politica, filtrata attraverso la crisi dei partiti, affatica la riflessione pubblica ormai da molti anni. E ha trovato il suo indicatore più eloquente in quella disaffezione al voto che, negli ultimi appuntamenti istituzionali, ha visto esprimersi ormai la minoranza del corpo elettorale. Molte sono le possibili cause identificate nel corso degli anni da analisti e commentatori: dalla caduta del muro di Berlino all’avvento della stagione post-ideologica, dalle vicende giudiziarie interne al sistema dei partiti all’indebolimento della forma rappresentativa rispetto ad istanze a vocazione populista. A mio modo di vedere, a queste e alle altre possibili cause su cui si è appuntata l’attenzione degli esperti merita aggiungere una riflessione intorno alla solitudine che ci perseguita in questa nostra era di iperconnessione social: una sorta di ossimoro solo all’apparenza paradossale. Viviamo una solitudine pandemica che aggredisce ogni dimensione dell’umano. Diventa crisi del volontariato organizzato, la cui diminuzione in numeri assoluti e non solo in percentuale lascia stupefatti. Diventa crisi di partecipazione ai gruppi sociali di base, quelle formazioni intermedie disegnate dalla Carta costituzionale, nel tenore dell’art. 2 formulato da La Pira. Diventa crisi di partecipazione politica. La sensazione che il soggettivismo dominante, esaltato dall’esplosione dell’isolamento social dell’ultimo decennio, abbia concorso a comporre questo dato non va, a mio avviso, lontana dal vero. Non per caso la rete tecnologica, salutata anni fa quale straordinario motore di partecipazione diretta e diffusa, viene adesso alimentando preoccupazioni crescenti per il suo atteggiarsi a strumento di condizionamento e di controllo. Nel mentre l’emergere di una politica fatta di risposte congiunturali e contingenti, funzionale allo schema della comunicazione del consenso, sancisce la separazione tra politica e cultura, esito ultimo e più drammatico della crisi che stiamo vivendo.”