Vescovo, sì del Papa alle dimissioni: ma verso una staffetta non prima del'estate

«Sono alla fine del mandato» dice emozionato in Duomo, rivolto a Betori e a Bassetti. Ma intanto dall’altare chiede attenzione ai poveri e lancia un monito: «Mai confondere fede e politica»

Il Vescovo Fontana e il Cardinale Grech

Il Vescovo Fontana e il Cardinale Grech

Arezzo, 16 febbraio 2022 - Arezzo, 16 febbraio 2022 - «Eravate con me tredici anni fa, ci siete oggi che il mio mandato è al termine». Riccardo Fontana dall’ambone dell’angelo, uno dei gioielli della nuova Cattedrale realizzati da Giuliano Vangi, saluta così i vescovi e i cardinali saliti per la Madonna del Conforto dalla Toscana e oltre. Ne saluta due in particolare, l’ex compagno di scuola Giuseppe Betori, metropolita di Firenze, e Gualtiero Bassetti.

Per noi non è solo il presidente della Cei, è il nostro Vescovo» commenta. Per la prima volta definisce il suo mandato al capolinea, per la prima volta, pur «burbero», non nasconde l’emozione. Un saluto non casuale. Fontana non ne parla ma in effetti una novità c’è, sia pur prevista. Nei giorni scorsi il Papa ha accolto le sue dimissioni. Quindi la sua missione non sarà prorogata. Lo confermano fonti da Roma: e in fondo lo conferma il tono, più ancora del saluto, del Vescovo.

Non solo nell’emozione ma anche in certe risposte dirette. «I poveri? Basta chiacchiere, significa tirarsi su le maniche e porsi il problema di Luca» dice più tardi a fianco del cardinale, prendendo ad esempio uno dei senza tetto più famosi in centro. Con lo spirito di chi comincia a sentirsi mancare non la terra sotto i piedi ma forse il tempo per fare tutto. Anche se ne ha ancora parecchio.

Lo scenario? Intanto l’accettazione delle dimissioni è pari pari quello che è avvenuto subito in tutte le diocesi Toscane i cui vescovi siano arrivati ai 75 anni. Meno Fiesole (ieri c’era in Cattedrale anche il titolare Mario Meini) dove però i progetti sono di una rifondazione più complessiva e comunque imminente. Dall’accettazione delle dimissioni inizia l’operazione di scandaglio per mettere a fuoco la persona migliore, immaginiamo consultando chi ha qualche titolo per dire la sua.

nche se alla fine la scelta viene da Roma. In genere almeno cinque o sei mesi passano, non tanto per l’annuncio quanto per l’insediamento del successore. Arriviamo all’estate: e cresce la possibilità possa essere il giorno di San Donato quello scelto. Ma non è detto. Primo perché dipende da chi arriverà. E quella data, il 7 agosto, ha la caratteristica di incrociare una città abbastanza deserta per ferie.

Insomma, un percorso lungo: e che vedrà ancora Fontana bene in sella. E il segno lo ha impresso anche ieri. Trasformando il Pontificale, aprendolo per la prima volta anche ai bambini e ai ragazzi. E spingendo l’acceleratore sulla chiesa modello concilio. «Noi sessantottini abbiamo le idee chiare» dice scherzando a fianco del Cardinale Grech. Che nell’incontro con la stampa accentua la ricerca dei lontani.

«La parrocchia non finisce con le mura: ci sono quelli fuori, della parrocchia sono parte integrante e vanno cercati». Era stata la sintesi del sinodo aretino e il segretario generale del Sinodo dei Vescovi lo fa suo senza esitazione. Chi riesce ad entrare in Cattedrale, «bucando» il numero chiuso, forse non lo avverte ma lo spirito della giornata è fatalmente sullo sfondo di questo passo d’addio.

Anche perché tra i vescovi che lo affiancano tanti sono già emeriti o in procinto di diventarlo: compresi i cardinali. Betori la lettera di dimissioni l’ha mandata in anticipo. Bassetti il suo ritiro lo ha confermato anche ieri al nostro giornale. E con l’occasione Fontana va a fondo anche nell’omelia del pomeriggio. Ricorda l’incubo del terremoto in Umbria. Mette i paletti perfino alle manie di grandezza della chiesa.

«La Festa della Madonna del Conforto è uno di quei momenti in cui la Chiesa fa un passo indietro. Non si vanta, non cerca di capire oltre il consentito, non presuppone né si fa tronfia. Vede ciò che appare e capisce ciò che può». Ripropone il suo «must» («Il vero miracolo non è la fine del terremoto ma il ritorno degli aretini alla fede. La Madonna del Conforto non è la festa dell’esteriorità»).

E piazza l’ultimo affondo. «Noi cattolici dobbiamo imparare a non usare le occasioni che capitano nel tempo per mischiare la religione con la politica». Stavolta non rievoca il calice di San Donato rotto e da ricomporre, spesso portato ad esempio alla Arezzo civile. No, stavolta parla prima di tutto ai suoi, come chi sta per rimettersi in viaggio. Come chi dà la precedenza alla famiglia: che era qui anche lei, la bellezza di 13 anni fa.