CaneschiMesi intensi si sono susseguiti in omaggio a Giorgio Vasari. Ma quando è entrato, Giorgio, nelle grazie degli aretini? Più tardi di altri. Prima soffriva del marchio di servitore del regime sbagliato. Quello mediceo, fiorentino, per usare le parole che Pier Ludovico Occhini fece imprimere nella relazione del 1927 sull’attività sociale della sua Brigata aretina degli amici dei monumenti: "Dominatore e crudele distruttore di tutto ciò che era aretino". E poi la Chimera, diventata grazie a Vasari la punta di diamante delle collezioni del granduca Cosimo.
Un piccolo inciso su queste relazioni: anno dopo anno permettono di cogliere il clima culturale governato da una borghesia e un’aristocrazia forgiatesi nel nazionalismo d’inizio Novecento e confluite nel Pnf, nutrite di campanilismo, di revival del medioevo guerriero e pugnace ma anche di una certa generosità che portò a battaglie che si tradussero nel maquillage del centro, la veste che Arezzo ha oramai storicizzato: su tutte la lotta agli intonaci e l’elevazione delle torri che punteggiano l’attuale skyline, con disinvolta fantasia e confusione nella merlatura delle stesse.
Dicevamo di Vasari. L’ultimo fra i grandi. In principio fu Guido Monaco. Anche scoprissimo che nacque in area padana, ipotesi proposta da Angelo Rusconi nell’introduzione a “Guido d’Arezzo. Le opere”, e che giunse al Pionta solo in età matura, qua perfezionò e diede sostanza alla sua riflessione, dedicando il “Micrologus”, con toni prossimi alla sottomissione, al vescovo Teodaldo. Guido deve ad Arezzo la strada e la piazza che sono il lascito urbanistico della seconda metà dell’Ottocento e un cognome che rende manifesta la volontà di appropriarsi del personaggio in termini anagrafici e Arezzo deve a Guido a prescindere, sia per la storia cristiana che per la storia culturale.
Francesco Petrarca sgombrò invece i dubbi sui natali aretini in una lettera del 1370. Solo che, figlio di esuli fiorentini, seguì fin dalla tenera età il padre nei suoi spostamenti.Eppure da quando Leopoldo II di Toscana scelse il poeta del “Canzoniere” per il nuovo teatro cittadino, negli anni Quaranta dell’Ottocento, fu un crescendo rossiniano: dai monumenti ai viali, dalla casa natale, vexata quaestio che divise gli studiosi, a festeggiamenti in cui ne venne rivendicato il genetliaco, attentamente depurato dalla sua incidentalità. Da una parte Dante adottato da Firenze, unico a potersi fregiare, come profeta dell’italianità, del titolo di sommo, dall’altra Petrarca, apprezzato a livello europeo, che la città del giglio non rivendicava nutrendo scarsa empatia verso un discendente da una lista di proscrizione. Impossessarsene - e senza infastidire alcuno! - fu un’occasione troppo ghiotta.
La figura di Mecenate emerse sulla scia del dissotterramento dell’anfiteatro romano e degli scavi presso la chiesa di san Lorenzo da dove riemerse la statua di Minerva. La relazione tra Mecenate e Augusto divenne allora la cartina di tornasole della saldatura instauratasi tra Arezzo e Roma all’insegna dell’assoluta fedeltà della prima alla seconda. La piccola patria aretina avrebbe vantato un’indistruttibile amicizia con la grande patria romana rispetto alla quale si sarebbe posta sempre a fianco. Roma (imperiale) era d’altronde il mito del fascismo ufficiale.
Giorgio Vasari entrò nel pantheon a seguito della concessione di una cittadinanza onoraria. Per la descrizione della cerimonia ci si può sempre affidare alla Brigata aretina degli amici dei monumenti che perorò la causa dello storico dell’arte e archeologo ravennate Corrado Ricci fino al solenne conferimento, significativamente a casa Vasari, a opera del commissario straordinario del comune Giulio Nencetti il 10 ottobre 1926. L’atto fu sostenuto da un articolato piano di motivazioni: Ricci venne identificato come il fautore del salvataggio del ciclo della vera croce di Piero della Francesca, che rese Arezzo una reggia dell’arte, grande fra Firenze e Roma… prodigando sé e mettendo a profitto l’autorità e l’alta influenza presso il Governo per ottenere mezzi adeguati alla difficile e costosa impresa. Ricci ispirò poi la legge con la quale se ne ordinava l’acquisto (della casa Vasari da parte dello Stato) dopo di che: Arezzo deve a lei… la riparazione al torto che il tempo e la moda ed una critica pedante avevano inflitto al Suo grande figlio Giorgio Vasari risollevato, mercé Sua, alla meritata altezza come artista, come storico e come letterato.
Il seguito? L’intitolazione nel 1934 non di una piazza ma della Piazza, non più soltanto Grande, e giudizi in cui Occhini descrisse Vasari poliedrica figura di pittore e architetto, dalla quale deriva quella di magnifico decoratore che ne forma il pregio maggiore artistico e successivamente: in alto è il Vasari che con le "Logge" ci fa dimenticare le sue pretese pittoriche per mostrarci che, accanto ai suoi meriti di primo storico dell’arte, ebbe pur doti eccellenti di costruttore ardito e geniale. Che non mi pare esattamente la stessa cosa.