
Il ritrovamento del corpo
Arezzo, 14 novembre 2018 - Lui, dal carcere di Biella, nega disperatamente di essere un assassino, ma non gli è bastato per evitare una condanna a 30 anni per omicidio premeditato. Il delitto avvenne a Pombia, in provincia di Novara, un anno e mezzo fa, ma Angelo Mancino, 39 anni, uno dei due imputati, risulta ancora residente a Monte San Savino. Anzi, proprio a Monte San Savino, secondo le ricostruzioni, stava cercando di tornare quando fu arrestato in treno il 26 aprile 2017.
Da allora Mancino ha alternato una prima confessione a una successiva ritrattazione: ho assistito all’omicidio ma non vi ho partecipato. La vittima si chiamava Matteo Mendola, originario di Gela, 33 anni, di Busto Arsizio, un piccolo malavitoso che fu massacrato in un bosco con due colpi di pistola e finito con un corpo contundente, una batteria d’auto. Delle indagini si occuparono i carabinieri, che quasi subito arrivarono all’arresto del primo esecutore materiale, Antonio Lembo, 29 anni, anche lui gravitante nell’ambiente della malavita fra il novarese e il varesotto. A seguire la cattura di Mancino.
Quindi, in ultimo, le manette per quello che veniva considerato il mandante del delitto, un imprenditore del posto, Giuseppe Cauchi di 52 anni. Sarebbe stato lui a chiedere a Lembo di vendicarlo di uno sgarro compiuto dalla vittima. Il pretesto per attirare Mendola in trappola, fu il progetto di un furto in comune. Poi Lembo e Mancino l’avrebbero ucciso, la sera del 3 aprile 2017.
Mentre Lembo non ha mai fatto marcia indietro dopo le prime ammissioni, il savinese ha avuto un atteggiamento più ondivago, fino alle lettere inviate qualche settimana fa ai giornali locali: ho dato una mano nel nascondere il cadavere ma non ho partecipato al delitto. Le prime ammissioni, scrive, derivano da un fraintendimento di quanto aveva detto subito dopo l’arresto: ho taciuto in principio perchè ho avuto paura per la mia vita, la violenza con cui Lembo ha ucciso mi ha impressionato.
Purtroppo per lui, il Gup di Novara, Roberta Gentile non gli ha creduto e ha fatto propria la richiesta di pena del Pm Mario Andrigo. Ora Mancino dovrà sperare in una revisione in appello. Il presunto mandante, l’imprenditore Giuseppe Cauchi, ha invece scelto il rito ordinario, il Gup lo ha rinviato a giudizio dinanzi alla corte d’assise di Novara. Lì rischia l’ergastolo, la condanna che il savinese ha evitato solo perchè ha optato per il giudizio allo stato degli atti, con lo sconto automatico di un terzo della pena.