Ucciso dall’amianto: maxi-risarcimento a ex operaio Sacfem

Il tribunale di Milano riconosce il legame fra la morte e la lavorazione in fabbrica. Riconosciuti danni fra 600 mila euro e un milione

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E’ morto per colpa dell’amianto cui era stato esposto nel lunghi anni in cui aveva lavorato alla Sacfem. E’ questa la sentenza del tribunale di Milano che riconosce il nesso causale fra il mesotelioma da cui era stato ucciso un ex operaio e l’attività da lui svolta. Il risarcimento riconosciuto dai giudici civili è davvero importante, in linea con quello delle altre sentenze pronunciate dal tribunale di Arezzo: tra i 600 mila euro e il milione, anche se gli avvocati non vogliono entrare in maggiori dettagli per questioni di privacy.

A ottenere il risultato sono stati tre legali dello studio Arco, Sabrina Candi, Vittorio Martinelli e Simona Bianchi, che sono quelli che più si sono impegnati sul fronte Sacfem-amianto, con indagini approfondite sugli effetti del metallo e delle fibre da esso rilasciate sulla salute di quanti in azienda hanno lavorato per decenni. Un approfondimento reso particolarmente difficile dalla lunga latenza del mesoteliama e delle altre malattie professionali legate all’amianto, che hanno una latenza di decenni. Nel caso specifico, la causa civile era stata intentata al tribunale di Arezzo, ma il giudice ne aveva disposto il trasferimento per competenza a Milano dopo aver accertato che era andato perso il libretto di lavoro e che quindi il legame professionale era quello con Bastogi, la finanziaria che controllava Sacfem, ancora attiva in Borsa dove è la più antica società quotata.

Sacfem, forse, dice poco ai giovani di adesso, la fabbrica, la cui ultima sede era nell’attuale sede del centro direzionale ex Etruria, è chiusa da una quarantina di anni. Ma per decenni è stata l’azienda più importante della città, anche la prima di grosse dimensioni, specializzata inizialmente nella fabbricazione di carrozze ferroviarie e poi riconvertita alla produzione di materiale per l’edilizia. Nei momenti di maggior fulgore ci hanno lavorato oltre mille persone. Per gli aretini ha significato occupazione e benessere, oltre che una solida tradizione sindacale e politica, ma anche esposizione al rischio della malattia, pur se al tempo si ignoravano gli effetti letali dell’amianto.

Il primo stabilimento, era situato, come i più anziani ricorderanno, nel grande quadrilatero fra viale Mecenate, via Signorelli e via Giotto, poi lottizzato negli anni ’70, con la nascita del complesso del "Baco d’oro", delle palazzine del Parco e del del Parco Giotto.