
"Venite a prendermi: ho ucciso mia madre". Era stato lui stesso a chiamare i carabinieri, subito dopo aver soffocato la donna. Afferrò un cuscino e strinse fino a toglierle la vita. Ma non ha mai saputo spiegare perché. Ieri è stato assolto. Assolto per un "vizio totale di mente". Assolto perché incapace di intendere e di volere al momento del fatto. E’ finita così la vicenda giudiziaria di Manuele Andreini: è finita in pochi mesi, rispetto a tante altre storie che rivivono nelle aule.
Mamma Assunta l’aveva uccisa nella notte del 14 ottobre del 2022. Ma era stato chiaro fin dall’inizio che dietro l’atto non ci fosse chissà quale mente criminale. Un’impressione, certo, anche alla luce delle relazioni di quella notte e delle indagini condotte subito dopo. Ma impressioni poi confermate dalla perizia, sintetizzata nella relazione del dottor Massimo Marchi. E che aveva sancito l’impossibilità di intendere e di volere. Una svolta avvenuta pochi giorni prima di Natale e che fatalmente ha indirizzato l’intero processo verso la conclusione di ieri.
Già allora era stato sufficiente a farlo uscire dalla casa circondariale di Sollicciano, dove era detenuto. Per avviarlo verso una struttura di recupero: o meglio di cura per casi come il suo. E nella quale dovrà continuare a vivere.
Perché la corte ha sancito che rimanga in libertà vigilata ma in un centro dove possa essere seguito e valutato via via dai medici. Sono le cosiddette Rems, le residenze per le misure di sicurezza. Quella nella quale è stato accolto ad Abbadia San Salvatore, sempre monitorato dai medici. Ma dal centro è tornato via via per il processo, che ha continuato a seguire in quasi tutto il suo corso.
Il processo nel quale è stata ricostruita quella notte di ottobre, in una casetta di campagna a Subbiano. Lì dove Manuele viveva con la mamma, una donna di 87 anni.
All’improvviso il raptus, forse non sapremo mai da cosa scatenato: di sicuro non è stato lui a chiarirlo. Fin dal primo momento. Perché dopo la telefonata al 112 e l’arrivo dei carabinieri non ha mai saputo dare un motivo, nascosto tra le pieghe della sua mente. Sotto choc, probabilmente subito pentito di quanto aveva fatto, anche di fronte alle altre figlie della vittima.
Nel corso del dibattimento si sono costituite parte civile. Ma hanno sempre specificato di non averlo fatto per una rivalsa familiare o per infierire su Manuele. Ma solo nel rispetto della madre, morta in quel modo terribile, per mano del figlio. Alla luce della perizia la Pm Francesca Eva aveva chiesto l’acquisizione agli atti della relazione e aveva rinunciato ad ascoltare i testimoni. Per poi chiedere l’assoluzione e una serie di misure di sicurezza proprio in una struttura assistita. Era chiaro che a quel punto non avrebbe mai rischiato una condanna, anche se il processo ha continuato a fare il suo corso. Con il quarantenne assorto a seguirne le evoluzioni, a fianco del suo avvocato Francesco Maria Vanni Gusmano.
La rabbia del gesto, la confessione tra le lacrime, infine il percorso che ora dovrà continuare sotto attenta sorveglianza. In fondo a quella notte che per lui non è mai finita.
Alberto Pierini