REDAZIONE AREZZO

Tutti i segreti del polittico ritornato in Pieve

Ordine francescano contro il papato avignonese: il conflitto che bloccò il cantiere di Piero Lorenzetti. L’errore di Giorgio Vasari

Giorgio Vasari "mosso dall’ affezione a questa veneranda chiesa collegiata et antica" riallestì l’intero presbiterio e spostò il polittico, da lui stesso ricordato sull’altare maggiore, descrivendolo come opera di Pietro Laurati, nella "quale mostra di essere buono e vero maestro".

Il grande polittico "con assai figure" della Pieve di Santa Maria, spostato quindi per fare posto all’altare di famiglia di Giorgio Vasari, oggi nella Badia delle Sante Flora e Lucilla dal 1864, e collocato in quello laterale di San Cristoforo, in fondo alla Pieve, fu commissionato a Pietro Lorenzetti dal vescovo Guido Tarlati, uno dei maggiori rappresentanti del ghibellinismo degli anni Venti del Trecento, nonché artefice e promotore della riqualificazione urbana di Arezzo. Il nome Laurati, anziché Lorenzetti, è un errore che Vasari ha fatto leggendo male, ovvero interpretandola come un patronimico, l’iscrizionefirma PETRUS LAURE(N)TII HA(N)C PI(N)XIT DEXTRA SEN(ENS)IS posta sulla cornice inferiore sotto l’immagine della Madonna con il Bambino e nella quale la mano indica la perizia che aveva sostenuto l’artista, che non contento ha apposto anche una seconda firma PETRUS ME FECE sulla spada di Santa Reparata, nella prima cuspide a sinistra. Grande capolavoro che eccezionalmente è corredato di eloquente bagaglio documentario. Eccezionale è l’esistenza del documento di contratto di allogazione stipulato tra il vescovo Tarlati e l’artista senese in data 17 aprile del 1320 presso la distrutta chiesa di Sant’Angelo in Arcaltis, nonché reso noto alla fine dell’Ottocento.

Nell’atto notarile sono descritte le caratteristiche dell’opera, compreso i dettagli, al punto tale da fare immaginare le parti perdute. Tra queste le due colonne alle estremità con sei figure dipinte per ciascuna, , che lo rendevano autoportante sostenendolo fino a terra. Perduta è andata la predella con molte figure piccole , come ebbe a dire Vasari.

Anche l’oro utilizzato doveva essere ottimo e la preoccupazione per la qualità di tutto emerge con insistenza ed è testimoniata dal compenso, centocinquanta lire pisane, corrispondenti a cinquantaquattro fiorini d’oro, cifra inferiore a quella delle grandi pale senesi, ma dignitosa e documento di come Pietro fosse già affermato, dopo avere lavorato nel prestigioso cantiere della Basilica Inferiore di Assisi, da cui il Tarlati lo ha precettato a seguito dell’interruzione di quest’ultimo, dopo che Assisi fu posta sotto assedio.

La perdita della libertà per la sottomissione a Perugia, il perdurare dell’interdetto ecclesiastico per la mancata restituzione del tesoro papale rapinato dal ghibellino Muzio di Francesco, l’attrito tra la chiesa avignonese e l’ordine francescano sulla questione della povertà provocarono l’arresto del cantiere. La presenza del Tarlati come contraente dell’atto notarile si spiega per la conoscenza diretta del pittore, incontrato ad Assisi, dove lavorava per la Cappella Orsini. Tarlati era amico di Napoleone Orsini e dette il suo aiuto per organizzare la rivolta che porto Muzio di Francesco al governo della città nel 1319. Non sappiamo se il Lorenzetti abbia abitato ad Arezzo durante i quattro anni impiegati per il polittico.

Oggi domenica 8 novembre in Pieve, dove durante la celebrazione della Santa Messa da parte dell’Arcivescovo Riccardo Fontana, alla presenza di don Alvaro Bardelli, sarà scoperta la grande opera pittorica dopo il periodo di assenza dettato dal restauro attuale. Ottimo è l’intervento di restauro, terzo dopo quello di Fiscali del 1916 e quello di emergenza del 1976, eseguito da Ricerca (Paola Baldetti, Marzia Benini e Isabella Droandi), sotto la vigilanza scientifica della Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per le province di Siena, Grosseto e Arezzo (Soprintendente Andrea Muzzi), nelle persone che negli anni si sono succedute (Paola Refice, Felicia Rotundo, Umberto Senserini) e con il coinvolgimento di tecnici e di operatori, sia per le indagini tecnico-scientifiche (Thierry Radelet), sia per la disinfestazione del supporto(Marco Santi).

Un ringraziamento particolare va tributato a chi si è impegnato nella ricerca dei finanziamenti e in particolare all’ Onlus Art Angels Arezzo, fondata nel 2017 e presieduta da Gianna Rogialli. Non va omesso di dire che anche Ricerca ha autofinanziato l’intervento. Molti altri sono gli sponsors, Fondazione Ente Cassa di Risparmio di Firenze, Chimet, Power One e Centro Chirurgico Toscano, insieme a privati cittadini.

L’opera fa grande Arezzo, poiché è celebre in tutto il mondo e largamente studiata anche da Isabella Droandi, esperta di pittura trecentesca. Essa è ancora eccezionalmente conservata, sebbene vittima quindi di spostamenti interni e di alterne fortune che hanno determinato la perdita di alcune parti, nella sua sede originale.

Graficamente la cornice è stata ricostruita da Silvia Guerrini. Straordinari sono i risultati ottenuti dal restauro attuale. Ora dobbiamo pensare all’illuminazione del capolavoro, ricordando il supporto d’acciaio per la ricollocazione, pensato da Metalmeccanica di Valerio e Mauro Vedovini.