"Trasferito ma non l’ho chiesto io" San Donato, ovazione per il parroco

Don Scarpelli lancia un appello: "Basta con gli attacchi al vescovo, ho visto cose brutte, non sono da noi". Minuti di applausi alla fine della celebrazione. "I preti possono essere spostati, so cosa significhi obbedire"

Migration

di Alberto Pierini

AREZZO

"Non ho chiesto io di andare via, mi dispiace, lo devo dire". La frase risuona in una chiesa strapiena, dalla tribuna che affianca l’altare (è uno dei pochi esempi in città) alle panche, dall’ala degli scout alle sedie dell’ingresso. Ed è la frase che scatena l’ovazione. Un lungo applauso, di quelli che don Stefano Scarpelli, a San Donato per tutti "Donsti", di sicuro non è abituato a ricevere. "Sono un timido, credetemi non sono stato io a chiamare le televisioni e i giornali". E’ vero, siamo tutti lì perché tra i trasferimenti decisi dal Vescovo è l’unico che abbia fatto davvero scalpore. L’unico che abbia spinto un quartiere a protestare.

Sbagliando a volte i toni: lo dice proprio Donsti, alla fine della Messa. L’ha celebrata uno dei suoi preti, lui si è limitato a raccontare il Vangelo con la linearità di sempre e poi a dire due parole in famiglia. "Il mio Vescovo ha parlato e mi pare giusto che io dica una parola". Il mio Vescovo: lo ripete spesso, lo ripete volentieri. E a parte quel passaggio degli applausi, il suo è un intervento in difesa di Fontana. "Mi fa star male chi offende il mio Vescovo, chi ha detto cose orribili di lui". Lo fa star male anche perché, ripete, "non è il nostro stile". E a confronto mette invece quanti si sono sì lamentati ma in punta di piedi.

"Grazie a chi ha manifestato con calma l’amore ad un sacerdote, questo si può fare, non c’è nulla di male. E’ umano che un popolo si affezioni al suo parroco". E’ umano ma ripete con forza che tra i poteri del Vescovo c’è quello di trasferire i sacerdoti. "Lo può fare, è un suo diritto. Io prima di fare il prete ho fatto il militare, so cosa significhi obbedire". Non vola una mosca nella chiesa di San Donato.

Sono venuti in tanti, forse alcuni proprio per quello che era successo. "E’ il quartiere più bello di Arezzo, c’è gente vera, senza la puzza sotto al naso, con il cuore grande. All’inizio un po’ di diffidenza ma mi avete aiutato tutti". Quel velo di diffidenza, questo è certo, ormai si è dissolto. E ora prova a convincerli a riprendere il cammino. "Il Vescovo ha ritenuto opportuno trasferirmi perché il mio compito in ospedale è gravoso e mi ha dato una parrocchia più piccola". Il Bagnoro, dove con calma si trasferirà. "Sarà il nostro Vescovo a decidere quando lasciare il posto: il mio successore, vedrete, sarà uno più bravo".

Don Severe non c’entra nulla ma in questo momento tutti hanno occhi solo per Donsti. "San Donato è come un paese: a Poppi non ci chiamavamo per nome, bastava dire oh". Finito il suo appello va via per primo, come ad evitare altri applausi. "E’ chiaro – aveva concluso il suo intervento – che vado via con il cuore grosso, sarebbe strano il contrario. Ma la chiesa è unita ed è quello che conta, non ci confondiamo". Una cosa l’ha voluta chiarire. "C’è chi dice che mi mandino via per punizione: macchè, chi lo dice sta male di testa, vado perché lo ha deciso il mio Vescovo". Lo chiama così, per l’ultima volta, prima di ritirarsi in sacrestia. Lì dove i fedeli lo vanno a cercare. Come fanno da 13 anni. Come se per Donsti fosse una domenica come le altre.