
Licio Gelli e i suoi tesori
Arezzo, 26 novembre 2017 - O fate come vi dico io o la mia eredità finisce al fisco. Neppure scrivendo il suo testamento, neppure rivolgendosi idealmente ai familiari più stretti, i figli e i nipoti, Licio Gelli perde quel tratto autoritario, quella capacità di comandare ricattando al tempo stesso, quel suo miscelare affetto e veleni, che ne hanno fatto per mezzo secolo l’uomo dei grandi misteri nazionali, il massone più potente e discusso d’Italia, il capo della loggia più oscura nella storia del paese, ovviamente la P2.
Eccole allora le ultime volontà del Venerabile, che poi non sono affatto le ultime. Quello che Gelli verga di sua mano, con una grafia minuta quanto precisa, per quanto in un italiano zoppicante, il 12 aprile del 1998, poco prima di involarsi per l’ultima delle sue leggendarie latitanze, è infatti il testamento che gli verrà trovato in tasca a ottobre quando la polizia francese lo arresta a Cannes. Disposizioni, dunque, superate da un nuovo testamento, definitivo, che verrà aperto dopo la sua morte del 15 dicembre 2015, quasi vent’anni dopo.
Sorprende tuttavia, al di là dell’enormità del patrimonio che l’ex capo della P2 lascia agli eredi, la sua preoccupazione perchè tutto quanto scrive venga eseguito alla lettera. Dei tre figli che gli sono sopravvissuti e dei nipoti, coi quali i dissapori non sono mai mancati, come lui stesso lascia trapelare nelle otto pagine manoscritte, si fida fino a un certo punto.
Ecco quindi la postilla draconiana con cui li ammonisce: «Del presente atto - scrive - ne sono state fatte due fotocopie. Una è nelle mani di Gabriella Vasile (la compagna dopo la morte della moglie Wanda Ndr) perchè controlli che le mie volontà in esso contenute siano interamente rispettate, in caso contrario è autorizzata a consegnarle al fisco, così dividerete molto poco».
Perché chiaro che non tutto il patrimonio di Gelli era noto all’erario e se il testamento fosse finito nelle mani dello stato, come la Vasile, longa manus del Venerabile anche dopo la morte, aveva il potere di fare, l’eredità si sarebbe dissolta in tasse. Come in effetti successe, quando l’ex capo della P2 fu arrestato a Cannes: il testamento fu trasmesso al fisco italiano che avviò un accertamento da 17 milioni di euro in tasse evase. Poca cosa, comunque, rispetto al patrimonio totale, stimato dalla Guardia di Finanza in 192 miliardi di lire (95 milioni di euro).
Tale era la paura di Gelli che gli eredi lo «tradissero» nella tomba, da spingerlo a lanciare anatemi: «A coloro che faranno dell’ostruzionismo...oltre ad essere colpiti pesantemente dal fisco per evasione Iva, avranno gravi sventure nel corso della loro esistenza». Del resto, l’ex capo della P2, dissemina il testamento dei segnali di disistima nei confronti dei parenti più stretti: «Con figli diversi - scrive - non avrei venduto le proprietà e sicuramente avrebbero dato un altissimo reddito». E ancora un monito agli stessi figli: «Sbrigatevi a vendere tutto prima che il fisco si svegli».
Comunque sia, da buon padre di famiglia, Gelli divide il patrimonio in parti eguali fra Raffaello, Maria Rosa, Maurizio e i figli di Maria Grazia, morta in un incidente stradale: dentro ci sono Villa Wanda (valore 3 miliardi), Villa Espalmador a Villefranche sur Mer (Costa Azzurra), appartamenti, 172 mila ettari in Paraguay, 16 mila in Uruguay, due fazende in Brasile, 181 brillanti e altri gioielli, l’oro di Villa Wanda (160 kg di lingotti sequestrati dalla polizia sempre nel 1998 nelle fioriere grazie alla mappa che il Venerabile aveva in tasca).
Fra i legati, accanto a quelli minori per i parenti più lontani, spicca il miliardo di lire con 5 kg di lingotti lasciati alla Vasile. Poi corretti in 1,5 miliardi e 15 kg d’oro. Almeno dell’ultima compagna, Gelli si fidava: «Vogliate bene a Gabriella - ammonisce gli eredi - è brava e buona».