MARIANNA GRAZI
Cronaca

"Suono tra le rovine della guerra". Ahmad, palestinese tra i profughi

Stasera a Romena: con la sua musica attraversa le zone lacerate. "Ho raccontato la Siria, provo con Gaza". Da venditore di strumenti a musicista. "Dobbiamo mantenere l’umanità e credere che possa spezzare le bombe".

Aeham Ahmad, 37enne siriano palestinese noto come pianista di Yarmouk

Aeham Ahmad, 37enne siriano palestinese noto come pianista di Yarmouk

di Marianna Grazi

PRATOVECCHIO

"La musica è un canale tra i popoli". Aeham Ahmad, 37enne siriano palestinese noto come pianista di Yarmouk per le sue esibizioni pubbliche nel campo profughi durante la guerra civile in Siria tra 2014 e 2015, sarà ospite il 27 luglio a Pratovecchio della Fraternità di Romena per l’incontro "Restare umani. Note di pace al tramonto" in chiusura di cartellone della rassegna Aspettando Naturalmente pianoforte. A guidare il dialogo con le giornaliste Francesca Mannocchi e Sara Lucaroni sarà lo scrittore Massimo Orlandi e a introdurre la serata il fondatore della Fraternità, don Luigi Verdi.

Cosa l’ha spinta a suonare tra le macerie del campo profughi di Yarmuk?

"Ho suonato a Yarmouk perché credo nel potere e nella forza della musica di trasmettere un messaggio di pace. Ho riunito un gruppo di bambini e giovani che hanno cantato con me e hanno potuto trovare un po’ di gioia persino in un momento così duro della loro vita. Nel campo si soffrivano fame e sete, è molto simile a quello che sta accadendo ora a Gaza".

Che ruolo ha avuto la musica durante la guerra e poi nell’esilio?

"Ha avuto un ruolo fondamentale in tutta la mia vita. Da insegnante e venditore di strumenti, mi ha permesso di diventare un punto di riferimento durante la guerra, dando speranza e credendo nella fine della crisi. In esilio in Germania, mi ha permesso di ricostruirmi, di diventare famoso e di attirare l’attenzione. Senza la musica, sarei solo un altro rifugiato in Europa, trattato come un numero. Sul palco dimostro di avere qualcosa di speciale da condividere". Crede che possa ancora dire qualcosa in tempi così violenti?

"La musica può veicolare messaggi importanti, mostrando la sofferenza umana. Per 10 anni ho portato in scena il dolore della Siria, suonando jazz, musica orientale e usando varie tecniche al piano. Come con il mio libro, racconto il popolo e la comunità siriana. Provo a fare lo stesso per Gaza e la popolazione palestinese. La musica non può sfamare o dare da bere, ma può portare attenzione, verità tramite le emozioni, come una telecamera che riprende chi muore di fame o per le bombe. Dobbiamo credere che un giorno le note, come le news, possano fermare sofferenze, regimi, conflitti". Questa commistione è speciale perché credo che la musica possa connettere persone e culture diverse".

Cosa significa per lei oggi "restare umani"?

"Oggi è fondamentale credere nell’umanità e nei diritti umani. Anche di fronte alle scene di segregazione e disumanizzazione dei palestinesi a Gaza. È triste, ma dobbiamo rimanere umani e credere nei valori umanitari. La storia ci insegna che la forza militare non è la soluzione, come dimostra l’impero Romano. Credo nelle persone e mi affascina la filosofia buddista legata alla persona. Anche in Europa si stanno sviluppando correnti prevaricanti, ma un giorno tutto questo cambierà".

Che valore ha questo appuntamento alla Fraternità di Romena?

"Questo festival è molto importante, perché che lega la cultura, anche religiosa, e la musica. E porta tanti ospiti stranieri a parlare di pace, di umanità, suonando sul palco. È fondamentale portare avanti questo tipo di eventi, rispetto ai festival mainstream in giro per l’Europa, finanziati dei governi per fare soldi".