LILETTA
Cronaca

Sulle orme della grande quadreria. Oltre 200 i dipinti andati dispersi. Quei tesori della famiglia Albergotti

Descritta con tutti i dettagli nel 1882 ha poi subito lo stesso destino di quella dei De Rossi. Tra le opere cedute prima dell’arrivo ad Arezzo la Sibilla degli Uffizi e una Madonna di Raffaello.

Sulle orme della grande quadreria. Oltre 200 i dipinti andati dispersi. Quei tesori della famiglia Albergotti

Fornasari

Arezzo con il suo patriziato, che stando alle relazioni fatte dal Granduca Pietro Leopoldo, vantava nel Settecento 250 famiglie nobili, è stata sede di importanti episodi di collezionismo. Dopo la collezione Fossombroni, meritano di essere citate quelle di casa Bacci, di casa De Rossi e di casa Albergotti. Il 25 e il 26 novembre 2004 all’Archivio di Stato ci furono due giornate di studio dedicate alla famiglia Albergotti, intitolate "Gli Albergotti, famiglia, memoria, storia", organizzate con la collaborazione della soprintendenza Archivistica per la Toscana. Molti i contributi scientifici confluiti nel volume curato da Paola Benigni, Lauretta Carbone e Claudio Saviotti.

Tra i molti aspetti indagati, dalle fortune economiche, al ruolo sociale e ai successi avuti da alcuni esponenti della celebre casata nelle armi o nella carriera ecclesiastica, anche la quadreria dei marchesi Albergotti, più di duecento dipinti e ancora dettagliatamente descritta da Ubaldo Pasqui nel 1882 nel palazzo di via Cesalpino, in antico Borgo San Piero, è andata poi dispersa, come quella De Rossi.

È stato possibile ripercorrere la storia attraverso la ricerca fatta sugli inventari che in parte conservati all’Archivio di Stato hanno fornito una traccia indispensabile anche per il ritrovamento di alcune opere in essi segnalate e ora distribuite in altre collezioni. Partendo dal Seicento fino al 1882 risulta chiaro che i nuclei fondamentali della raccolta, arricchita poi di opere importanti solo nel Settecento e ancora povera e circoscritta solo a ritratti o soggetti scari fino al 1694, sono stati due.

Il primo consistente nucleo della collezione dei marchesi è indicato in un inventario del 1702, da riferire all’eredità di Girolamo, morto nel 1695. Nel febbraio 1706 fu redatto un secondo inventario di ciò che Donato Albergotti, figlio di Girolamo e di Luisa Guadagni, trovò nel palazzo della nonna Maddalena Bardi, moglie di Nerozzo Albergotti, morta nel 1697, la Breve Nota dei quadri del 1702, caratterizzata da interessi diversi, dalla pittura cortonesca a quella tardo cinquecentesca, indica il momento iniziale della raccolta.

Un incremento notevole ci fu intorno alla metà del Settecento e fondamentale è l’inventario compilato il 5 febbraio 1773, alla morte del marchese abate Alberigo Albergotti. Elenca i mobili e le altre cose esistenti nel palazzo di Firenze di piazza Antinori. Alberigo, figlio di Angiolo Tommaso Albergotti e formatosi a Roma nel Collegio Nazareno della Compagnia del Gesù, era stato nominato da Pietro Leopoldo provveditore del Monte di Pietà di Firenze.

Il suo palazzo fiorentino era stato arricchito da una collezione di opere di insigni autori in "Pittura e Scultura", acquistate in tutta Europa. Alcuni quadri di Alberigo possono essere identificati con alcuni dei dipinti elencati nel 1882 da Pasqui ad Arezzo. Molti sono gli inventari che attestano il prestigio della raccolta di Alberigo e precedente al trasferimento in Arezzo è quello con la stima fatta da Crisostomo Bianchi, chiamato dal marchese Albergotto Albergotti, erede del "signor abate fratello".

Poco prima dell’arrivo ad Arezzo, la raccolta fu decurtata di due dipinti e alcuni oggetti. Nell’agosto 1773 furono cedute "diverse argenterie" e il 6 novembre è documentata la vendita di 17 pezzi di porcellana e "quattro di cucchiaioni d’argenteria". Nel 1775, oltre che di orologi acquistati dalla Reale Guardaroba di Sua Altezza Reale, la collezione fu privata di quadri importanti, tra cui "una Madonna creduta di Raffaello" ceduta alla "Reale Galleria".

La Sibilla è la Sibilla Samia, tutt’oggi agli Uffizi. Il 19 febbraio 1777 Bencivenni Pelli, direttore della Galleria dal 1775 al 1793, scrive che il quadro era stato consegnato. La tela era stata acquistata in casa Ughi a Bologna, dove è ancora segnalata nel 1705.Una volta che i quadri giunsero ad Arezzo, rispetto al palazzo fiorentino, molto diversa era la loro disposizione. Una dettagliata descrizione della casa di Borgo San Piero risale al 16 agosto 1786.

Posta a tramontana, la sala grande dipinta ad "architettura parata di carte" con un salotto contiguo con camino di marmo, con un coretto che andava in chiesa, quella attigua di Santa Caterina, di proprietà della famiglia, con uno stanzino di fondo e una retrocamera che aveva la "riuscita nella sala con uno stanzino da toilette". A levante vi era un altro salotto con caminetto, con armadi a muro e "a soffitta con camera da letto anch’essa voltata a levante" con sua "uscita nel terrazzo" e il tutto era "parato di carta gialla". La collezione fu incrementata dal marchese Antonio Albergotti, amico di Pietro Benvenuti. Ancora giovane, Benvenuti da Roma manteneva stretti rapporti con il marchese, per cui dipinse il San Sebastiano curato delle pie donne, recentemente esposto in Casa Bruschi, insieme al Ritratto del vescovo Agostino Albergotti, dipinto da Benvenuti nel 1802, anno della sua nomina episcopale.