di Salvatore Mannino
E’ come se il croupier del Casinò di Palazzo Cavallo avesse detto la frase ormai canonica: les jeux sont fait, rien ne va plus. Non si accettano più puntate sulla ruota del prossimo sindaco, sta tutto alla pallina degli elettori che ha cominciato a girare e chissà su quale casella, fra le otto in predicato, una aggiunta all’ultimo tuffo, si fermerà. In verità, la legge del caso vorrebbe che tutti avessero le stesse possibilità, come alla roulette, ma è solo la finzione (benedetta) della par condicio. Alla fin fine, invece, funziona come nella Fattoria degli Animali di Orwell, nella quale, come è noto, tutti gli animali erano uguali ma qualcuno era più uguale degli altri.
Ecco dunque che degli otto contendenti, o meglio aspiranti sindaci, solo tre, al massimo quattro hanno reali ambizioni di arrivare alla fine della corsa, che sia il cappotto del primo turno, la sera del 21 settembre o l’eventuale ballottaggio di due domeniche dopo. Gli altri corrono per puntiglio, per mettersi in evidenza, per affermare un principio, per aprirsi un varco di luce nella selva della politica. E magari anche per diventare determinanti in un possibile spareggio, dove anche l’1 per cento di un candidato minore può fare la differenza.
Inutile dire che i duellanti veri sono innanzitutto il sindaco uscente e pretendente alla riconferma, Alessandro Ghinelli, che nel 2015 fece il ribaltone a sorpresa e che stavolta invece, nonostante l’inchiesta giudiziaria che lo lambisce, ha i favori del pronostico che spettano all’incumbent (chi è in carica) e Luciano Ralli, consigliere comunale di lungo corso, il medico scelto dal centrosinistra con l’obiettivo di ribaltare il ribaltone. Ciascuno di loro può contare su una truppa di cinque liste che lo sostengono e su un plotone d’assalto di circa 150 candidati, che scendono in pista per se stessi, con l’obiettivo di raggranellare preferenze utili a entrare in consiglio comunale o almeno salvare l’onore delle armi, ma che portano anche acqua preziosa al mulino dei rispettivi boss, nel senso americano.
Ci sono poi due possibili sorprese, due incognite che è ancora difficile pesare. Marco Donati, il terzo incomodo che di sè dice con sicurezza che arriverà al ballottaggio, ex deputato Pd, ex Cerchio magico renziano e di Italia Viva, che però corre da indipendente, e Michele Menchetti, l’uomo (esponente dell’ala intransigente e antitrattativista) dei 5 Stelle, movimento che ad Arezzo non ha mai toccato le vette nazionali ma che è comunque reduce da un quasi 20 per cento alle politiche. Come a dire un outsider di lusso.
Gli altri, il civico Fabio Butali, ex uomo di Ghinelli che lo insidia da destra, Daniele Farsetti, ex grillino del Patto omonimo, Alessandro Facchinetti e Laura Bottai (l’ultima arrivata dell’ultimo giorno) dei due partiti comunisti, stanno in scheda per fare bella figura o comunque atto di testimonianza.
C’è poi un’altra competizione che è altrettanto importante ed è quella per la Regione. Tra le gare più accese quella nel Pd, dove Vincenzo Ceccarelli, assessore uscente, potrebbe far ticket con Elisa Bertini, zingarettiana come lui, mentre Lucia De Robertis andrebbe in tandem con l’altro post-renziano Simone Tartaro. Vincesse il centrosinistra, chi prende più voti è in predicato di entrare in giunta. Nel centrodestra spiccano il leghista Marco Casucci, Alessio Mattesini di Forza Italia e Gabriele Veneri, fratello diesel di Fdi.