
I frati francescani
Arezzo, 25 luglio 2018 - La Messa è finita? No, continua e continuerà a lungo, anche dalle parti di Saione. Però di sicuro si chiude un’epoca. L’epoca dei francescani: con loro era nata non solo la parrocchia ma anche la prima chiesa aretina fuori le mura. Da settembre i frati non ci saranno più. Il testimone se lo erano passato, all’inizio degli anni 2000, la provincia francescana toscana e i loro «colleghi» di Cracovia: ora ecco l’ultima campana.
«Rimarrà una presenza fino a settembre, spero di potermi trattenere per il saluto al futuro parroco: poi la partenza» ci conferma padre Mario, anzi Marius, l’ultimo parroco con il saio. «Purtroppo anche per noi le vocazioni stanno calando, non ce la facciamo a coprire tutte le realtà di un tempo» dice addolorato. Negli anni ’80 la provincia dei frati minori aveva 600 frati, oggi arriva a fatica sopra i cento. Ma tutti sanno che non sarà una partenza indolore.
«La spiritualità francescana fa parte di questa chiesa, fin dalla fondazione». Spirito e carne. Perché la prima pietra arrivò dalla Verna, benedetta nel 1927: e la costruzione fu possibile grazie a tante donazioni, dalla vendita di case alle eredità fino alle offerte dei poveri. Una raccolta collettiva, di quelle fatte porta a porta quando ancora il crowfunding (i finanziamenti via internet) era una parola marziana. E che aveva aperto quasi un secolo di storia.
Pagine che si inseguono e si arrotolano con quelle del quartiere. Da padre Fabio Caneschi, uno di qua e non atterrato da lontano, intorno al quale la parrocchia è cresciuta per anni. O il «frate di quartiere», padre Alfonso Bucarelli: la pastorale del sorriso, lui che era stato anche guardiano della Verna. O il sorriso innovativo di padre Rodolfo Cetoloni, viceparroco a Saione e poi «missionario» a Gerusalemme e vescovo, prima a Montepulciano e ora a Grosseto.
Anni nei quali sono nate decine di realtà laicali, la città e il quartiere vivevano al ritmo degli eventi francescani, a cominciare dalla fatidica marcia estiva da La Verna ad Assisi. E all’interno la scuola, la Messa dei poveri, il convento sempre aperto. «Sapevi – ci racconta con un brivido Paola Forzoni – che lì c’era una porta spalancata e dietro avresti sempre trovato un orecchio attento». Lo sapevi dal babbo, dal nonno, dall’esperienza familiare. «Abbiamo fatto di tutto – spiega il Vescovo Riccardo Fontana – per salvare la presenza francescana nel quartiere. Abbiamo lavorato con la provincia toscana, abbiamo sondato terreni lontani, come il Messico».
Niente da fare, una storia è finita davvero.Ma, tiene a confermare il vescovo, per aprirne un’altra. «Ci saranno tre sacerdoti a coprire quella che per noi è una parrocchia decisiva: e insieme una comunità di suore indiane». Un ultimo legame agli ordini religiosi. Intorno c’è un quartiere ferito e trasformato.
«E’ vero – conferma padre Mario prima di chiudersi alle spalle il portone del convento – la preoccupazione e la paura sono salite davvero e abbiamo cercato con le nostre forze di non far sentire sola la gente». I rumori, le risse, gli inseguimenti non passano inosservati dietro le mura pur spesse di Saione. Ma da ora in poi dovranno trovare altre spalle sulle quali appoggiarsi, altre storie alle quali affidarsi.
«Era impossibile fare altrimenti ma è un peccato, era una chiesa nata con i francescani in mezzo alla gente» commenta da Lourdes proprio padre Cetoloni, che ne aveva condiviso per quasi tre anni il cammino. «L’immagine che mi rievoca è quella di padre Marco, un frate gigantesco, aveva lavorato con la gente di Saione a costruire la chiesa. Quando sentiva i giovani riempire il sottochiesa brontolava ma capivi che era il primo ad esserne felice». Felice: forse di poter spalancare ancora quel portone che oggi chiude.