
Quel giorno che Pantani spiccò il volo sulla Libbia
Correva l’anno 1992. Correva e correva parecchio: almeno sulle dritte e sui tornanti delle Valli Aretine. Allora era ,l’edizione numero 32, domenica taglierà il traguardo delle 65. Una delle grandi classiche del ciclismo nostrano, roba da polpacci forti come Moser e Argentin: e tra i protagonisti la meglio gioventù delle due ruote. Dilettanti che sarebbero diventati professionisti, nomi di campioni che avrebbero affollato le cronache per anni e anni. Tra cui lui, il Pirata.
"Sto bene ma non è un percorscio abbastanza duro a fare scelezione": no, non ci siamo dimenticati l’italiano, è solo un modo disperato di raffigurare il dolce dialetto romagnolo di Marco Pantani. Protagonista della corsa, terzo nel 1991, ancora più folgorante in quel 1992.
Lo vedete al centro, poco prima della partenza, intervistato dal nostro altrettanto giovane Fausto Sarrini. Pantani aveva appena vinto il Giro dilettanti, travolgeva tutte le gare dei dilettanti. Le Valli Aretine sarebbero state una delle sue ultime gare prima del professionismo.
"Dopo Arezzo – raccontava - correrò a Perugia, altre due o tre competizioni e poi passo". Al professionismo, sottinteso. "Non è un circuito durissimo, anche perché non è troppo caldo". In realtà quelle Valli Aretine si corsero il 12 luglio, che non è poi il top del fresco: ma si sa, per uno come Pantani, abituato a dare battaglia dove gli altri mollano, le difficoltà non erano mai troppe.
"Forse attaccherò all’inizio della Libbia, è il punto migliore". Giovane, giovanissimo e quindi non ancora sgamato alle schermaglie, annunciò prima della gara la sua strategia, come se un allenatore di calcio spiegasse alla stampa i movimenti per andare in gol.
Sì, il Pirata attaccò davvero all’inizio della Libbia. Davanti la solita fuga da disperati, quelli che cercano fortuna molto prima del traguardo. Era dietro di un minuto e 40 secondi: al primo metro di dislivello si alzò sui pedali, con quel movimento di danza che lo avrebbe portato primo a Milano nel Giro d’Italia e a Parigi al Tour de France.
Chi era su quella salita ancora si sfrega gli occhi, incredulo. Perché quel ragazzino cominciò a saltare gli avversari come birilli. Danzava sui pedali e correva, ingoiava uno dopo l’altro chi si trovava davanti. In cima alla Libbia aveva già staccato o riagganciato tutti, come se corresse una sua sfida personale, puntata molto più in alto. Un volo non verso la vittoria di un giorno: perché gli si ruppe la bici a 15 chilometri dal traguardo.
Solo un incidente meccanico avrebbe potuto fermarlo. Quella sera a trionfare fu Nicola Loda: un onesto gregario, in carriera avrebbe vinto sette gare, tra Midi Libre e Tour del Lussemburgo. Ma forse avrebbe ricordato tutta la vita quel giorno in cui era riuscito a battere il Pirata, malgrado avesse messo la quinta sui tornanti della Libbia.
Alpi