
Piero, la leggenda che discende dal Golgota Il soldato col suo volto, la "firma" di Nicodemo
Attilio
Brilli
I narratori hanno spesso dimostrato di avere uno sguardo più lungo degli storici dell’arte, anche grazie all’incondizionata libertà con la quale possono fare ricorso all’immaginazione. Le interpretazioni che sono state date della Resurrezione, l’affresco dipinto da Piero della Francesca per il Comune di Sansepolcro, ne sono una dimostrazione palese. Si è visto di volta in volta nella figura del Cristo che, con il vessillo della vittoria s’erge sui soldati dormienti, il riferimento alla tradizione del Cristo trionfante, o del Cristo giudice; oppure lo si è interpretato come la divinità che rigenera la natura e che, in via allegorica, redime l’umanità.
Una recente lettura dell’affresco a cura di Renana Bartal si dimostra particolarmente seducente, poiché instaura una sorta di corto circuito fra due opere incomparabili, entrambe presenti a Sansepolcro e detentrici simboliche del nome e della identità del luogo. In questa lettura si collega la figura frontale del Cristo pierfrancescano dallo sguardo fermo, severo, con il così detto Volto Santo, statua lignea che si trova al termine della navata di sinistra della Cattedrale.
Secondo la leggenda, il Volto Santo di Sansepolcro, come quello presente a Lucca e pochi altri consimili, apparterrebbe a quel genere di sculture dell’alto medioevo ascritte a Nicodemo. Secondo l’evangelista Giovanni, Nicodemo avrebbe partecipato alla deposizione del Cristo dalla croce e alla sua sepoltura. Sulla scorta di questa esperienza, egli avrebbe proceduto a scolpire nel legno la figura e il sembiante del Redentore. Nell’esecuzione non sarebbe mancato l’intervento sovrannaturale, infatti gli angeli avrebbero completato l’opera durante il sonno ristoratore di Nicodemo. Poiché, come viene sostenuto da molti critici, Piero si sarebbe raffigurato nel soldato dormiente, quello inquadrato frontalmente nell’affresco, e si potrebbe interpretare questo autoritratto come un’allusione a Nicodemo dormiente e alle “divine” leggi della matematica e della prospettiva intervenute in suo soccorso proprio a strutturare l’affresco.
Appare singolare che, dagli addetti ai lavori, non venga citato quasi mai il saggio, ormai secolare, del romanziere Aldous Huxley apparso nel 1925 con il titolo "La pittura più bella" contenuto nella raccolta "Lungo la strada". L’affresco della Resurrezione è per Huxley del tutto conforme ai canoni etici ed estetici dell’antichità classica, così come veniva rivalutata in età umanistica.
Può trattarsi della contenuta espressione emotiva che traspare dagli affreschi del coro di S. Francesco ad Arezzo i quali, pur raffigurando scene di battaglia più o meno cruente, non sono drammatiche perché "il tumulto e le emozioni delle scene sono state filtrate dalla mente e trasfuse in un austero insieme razionale".
E può trattarsi della composizione formale della Resurrezione della quale il triangolo è struttura e simbolo insieme. La base del triangolo è costituita dal sepolcro, mentre i soldati addormentati ai suoi piedi hanno la funzione di suggerire, con le loro posture, il convergere dei lati verso l’alto, fino al volto del Cristo dove ritrovano il loro vertice.
"Nessuna altra struttura geometrica avrebbe potuto apparire più semplice e adatta", commenta Huxley, il quale sostiene che l’essere che si leva dal sepolcro dinanzi ai nostri occhi è molto più simile a un eroe di Plutarco, che al Cristo della religione convenzionale.
Il suo corpo è sviluppato alla perfezione, come quello di un atleta greco; ed emana una tale forza che la ferita sulla massa muscolare del fianco appare quasi irrilevante.
Il volto è deciso, pensieroso; gli occhi fissi e l’intera figura è espressione del potere fisico e intellettuale. "È la resurrezione dell’ideale classico", conclude Huxley, "fuori dalla tomba nella quale era giaciuto per centinaia d’anni".
Le parole di Huxley pongono l’accento sulla figura del Redentore che sembra il calco di un torso della tradizione scultorea classica.
Le raffigurazioni del Cristo risorto come quella di Piero, non levitanti nell’aria, ma con i piedi ben saldi per terra, sono tutte ispirate ad esemplari della statuaria antica.
Se ne coglie l’eco perfino nel tardo Rinascimento, infatti chi ha occasione di visitare la cittadina di Cento, fra Bologna e Ferrara, rimane incantato da un’opera del Guercino, nativo del luogo.
Si tratta del dipinto Il Cristo risorto appare alla Vergine, già nella chiesa della Confraternita del Santissimo Nome di Dio e oggi nella Pinacoteca civica. Nell’offrire alla mano contadina della madre il proprio corpo bellissimo, quasi efebico, che resta tuttavia intangibile, c’è tutto il pathos del divino che si manifesta in quelle forme umane dalla quali sembra non volersi sciogliere.
Quelle forme umane ci affascinano e ci appaiono perfino familiari perché sono esplicitamente ricalcate su una grande statua della classicità che è l’Apollo Belvedere nell’omonimo chiostro dei Musei vaticani. Spetta agli storici dell’arte scoprire l’originale da cui Piero ha tratto il calco per il suo Cristo plutarcheo.