Liletta
Fornasari
Per Piero della Francesca, figura che più di ogni altra ha suscitato nei cultori dell’arte e soprattutto nei pittori ottocenteschi una grande passione, emblematico è il dipinto che Angelo Tricca (1817-1884), illustratore e pittore biturgense, ha eseguito per la società del Mutuo soccorso di Sansepolcro nei primi anni Ottanta del XIX secolo (oggi nel Palazzo della Laudi). Tricca rievoca gli ultimi giorni della vita e dell’attività di Piero, quando ormai cieco, seduto al tavolo da lavoro, pieno di carte, insegnava nella propria casa "i fondamenti della scienza prospettica" a Luca Pacioli, dettando le regole di geometria. I suoi occhi si erano spenti a causa di "un catarro", ma non la passione dettata dal suo inquieto spirito di ricerca.
Questo soggetto, che già Vincenzo Chialli tra il 1824 e il 18 36 aveva proposto nella decorazione di Palazzo Franceschi Marini, trae inspirazione dall’incipit della biografia scritta da Giorgio Vasari, che scrive "infelici sono coloro che affaticandosi negli studi per giovare altrui e lasciare di sé fama, non sono lasciati o dall’infirmità o dalla morte alcuna volta a condurre a perfezione l’opere che hanno cominciato... come avvenne a Piero della Francesca", morto il 12 ottobre del 1492, data che coincide con la scoperta del Nuovo Mondo e poi di una nuova era. Egli, continua il biografo, "essendo stato tenuto maestro raro nelle difficoltà dei corpi regolari e nell’aritmetica e geometria", non ha potuto "mandare in luce le virtuose fatiche et i molti suoi libri", poiché colpito dalla cecità.
Nella maturità Piero di Benedetto di Pietro de’ Franceschi, noto come Piero della Francesca, perché, a detta di Vasari, era chiamato con il nome della madre, Romana di Renzo di Carlo di Monterchi, "rimasta gravida di lui, quando il padre e suo marito", era già morto, si dedicò all’interesse, da sempre coltivato, per le "matematiche". Piero si era dedicato alla compilazione del De prospectiva pingendi, scritto in volgare poco prima della morte di Federico da Montefeltro e tradotto da Matteo da Borgo, e. poco dopo il Libellus de quinque corporibus regolaris con dedica a Guidobaldo da Montefeltro. Figure geometriche sono riconoscibili anche nel foglio che il De Carolis nella Sala dei Grandi di Arezzo fa tenere nella mano destra alla figura in piedi, abbigliata con una violacea veste larga con maniche ampie chiamata pellanda, poiché rivestita di pelli, con la quale ha rappresentato il nostro in primo piano.
Del resto il padre, Benedetto di Pietro, era commerciante di pellami e i Franceschi divennero proprietari di una "cella a guado per la produzione dell’indaco, attività che fu portata avanti dalla famiglia, annoverata tra quelle benestanti di Sansepolcro. Il volto datogli dal De Carolis ricorda molto quello che, ritenuto un autoritratto, è riconoscibile nella figura maschile con il copricapo nero, nella scena con l’Incontro tra Salomone e la Regina di Saba, nella cappella Bacci in San Francesco ad Arezzo. Mettendo la grande impresa aretina al centro della lunga carriera di Piero pittore, personalità complessa e geniale, nato a Sansepolcro tra il 1412, data ritenuta valida da Frank Dabell, e il 1420, diventano interessanti i dati documentari emersi anche da studi molto recenti (Giuseppe Centauro ed Enzo Settesoldi) e fondamentali per ordinare la sua straordinaria attività all’insegna della "pittura di luce e di prospettiva", apprezzata e indagata dalla fine dell’Ottocento fino a tutto il Novecento, includendo nella disamina anche molte opere andate perdute.
Essi sono relativi più o meno a tutte le fasi, da quella giovanile di formazione presso Antonio di Anghiari, alla sua presenza a fianco di Domenico Veneziano, impegnato nella decorazione della cappella maggiore in Sant’Egidio a Firenze in data 12 settembre 1439, fino ai suoi viaggi a Roma,- dove di lui resta solo il San Luca nella cappella di San Michele in Santa Maria Maggiore-, .al suo soggiorno ferrarese, alle opere fatte per la sua terra natale, -dalla celeberrima Resurrezione, alla Madonna con il Bambino, oggi a Williamstown, o la strepitosa Madonna del Parto di Monterchi-, alla sua presenza a Rimini e ad Urbino, per giungere alla grande impresa aretina, divenuta una pietra miliare non solo per l’operato di Piero, ma anche per il Novecento e per l’età contemporanea, giudicata il grande capolavoro eseguito per la famiglia Bacci, ricchi commercianti aretini, iniziando i lavori subito dopo il 1452, a seguito della morte di Bicci di Lorenzo, autore tra il 1447 e il 1452 della volta, e concludendoli poco dopo il 1459, anno di morte di Francesco Bacci, oltre che del viaggio di Piero a Roma, chiamato da Papa Pio II a dipingere in Vaticano.
Per l’inizio della sua carriera la prima data certa è il 1431, anno in cui a Sansepolcro fu pagato per la "pittura di aste di ceri". Opera giovanile è il Battesimo (Londra) per la chiesa biturgense di San Giovanni in Val d’Afra, con straordinari riferimenti a Luca della Robbia, oltre che a Donatello e a Masaccio. Fondamentale il decennio 1439 e 1449, che vede oltre all’esperienza fiorentina, anche la committenza del Polittico della Misericordia (Sansepolcro, Museo Civico) nel 1445, la presenza ad Ancona e a Rimini tra il 1450 e il 1451. Per il racconto della Historia salutis del popolo cristiano, immortalato nelle scene tratte dalla Legenda della Vera Croce di Jacopo da Varagine, la scelta di Piero da parte dei Bacci è da ricondurre a Giovanni Bacci, personaggio di spicco e figlio di Francesco, che aveva venduto una vigna nel mese di settembre del 1447 per la somma di sessantanove lire e due soldi (documento conservato presso l’archivio del Conte Borghini) da dare a Bicci di Lorenzo. La famiglia Bacci conosceva quella dei Franceschi da tempo per i contatti determinati dal commercio dei panni. Il nome dello zio materno, Nardo di Renzo di Monterchi risulta tra i debitori di Tommaso Bacci nel Catasto del 1430.Garante per l’incarico dato a Piero, che forse il figlio Giovanni da tempo caldeggiava, è stato Giovanni Tortelli, profondo conoscitore di teologia, nonché arciprete della Pieve.