PAOLO
Cronaca

Perché dico no alla città-merce del mangificio

Arezzo sta diventando una città-merce, con l'amministrazione che sostiene l'Associazione commercianti a discapito dei residenti. Secondo l'ex presidente Fiera Antiquaria, questo è uno dei più inquietanti sviluppi del nostro tempo.

Nicchi *

Sicuramente lo sguardo cadrà sui palazzi storici, sull’orologio di Fraternita o sul monumento al Petrarca. Forse qualcuno si spingerà fino alla Fortezza. Pochissimi andranno a visitare un museo. I residenti non potranno sostare e vivere con la tranquillità adeguata. Verrebbe da pensare perché mercati di questo impatto non vengono fatti in aree più idonee, fuori dal centro. Perché? Gli organizzatori ci dicono perché il centro storico è una scenografia suggestiva e valorizza l’evento. Ma la città è valorizzata da questi eventi? Davvero le migliaia di persone che hanno mangiato nelle piazze si ricorderanno Arezzo come città d’arte? O si ricorderanno Arezzo come città-merce del mangificio? "Ormai la trasformazione delle città d’arte in città-merce – ha detto Alberto Asor Rosa – è una delle manifestazioni più inquietanti del nostro tempo; e lo spossessamento dei cittadini dall’uso tranquillo e moderato delle loro città per sé, ne è un’ulteriore sciagurata conseguenza, o forse piuttosto condizione. Qui si raggiunge la vetta della mercificazione forzata di un bene che è pubblico, cioè di tutti, e che tale deve rimanere".

Questo succede più o meno ovunque, in Italia, ma ad Arezzo ormai è l’unica politica. Si sono saldati il potere amministrativo con l’Associazione commercianti, il resto conta poco o nulla.

* ex presidente Fiera Antiquaria