
Franco Cascini
Arezzo, 6 marzo 2019 - «Aiutatemi non so più come andare avanti». L’appello al buon cuore degli aretini arriva da Franco Cascini, da tutti conosciuto come «Cacio», il bandito solitario, che nel 2005 mise a segno una decina di rapine. Lo fa dalla sua casa a Ponticino, dove sta scontando i domiciliari per altre due rapine che piazzò dopo aver scontato gli otto anni e mezzo, (cinque in carcere a Pisa, i restanti ai domiciliari) dei primi dieci colpi.
«Ho sempre sbagliato tutto. Ho girato sessanta carceri, trascorrendoci 23 anni. Sto scrivendo un libro della mia vita dissennata, sono totalmente pentito di tutto quello che ho fatto» racconta Cascini, oggi un sessantacinquenne pieno di acciacchi che sta aspettando di essere operato al fegato e al cuore. «A rovinarmi è stato l’amore, o quello che pensavo fosse. Da giovane sono stato accecato da una romena ballerina del nightclub. Era una cliente della mia pizzeria in fondo al corso «Dal Cacio». Me ne invaghii e cominciai a seguirla nei locali. I soldi non mi bastavano mai. Lei me li chiedeva sempre di più. Sono andato anche in Romania per cercare di aprire un locale insieme. Sono stati anni di follia. Alla fine ho perso tutto. E’ per quello che iniziai a rubare».
Tra marzo e aprile 2005 Cascini mette a segno una decina di rapine. E’ sempre solo, per questo ribattezzato «bandito solidario». Inizia con la farmacia comunale di piazza Giotto, in cui si presenta poco prima dell’orario di chiusura, verso le otto. Il modus operandi da quel momento sarà sempre lo stesso. Pistola, giocattolo, in mano, volto coperto da una calzamaglia. Pochi giorni appena e i minuti di terrore toccano ai dipendenti del supermercato Giotto. E poi il negozio Benassi, una tabaccheria, un alimentari ad Olmo e l’ufficio postale di Pieve al Toppo. Infine quello a Pratantico, dove fallì e andò dritto in galera.
Terrorizzò la città e la periferia per due mesi, in modo goffo, forse, ma pur sempre con pistola puntata, pronto a tutto per andarsene con il bottino in tasca. Oggi sembra di parlare di un’altra persona. «Ho mille difficoltà. Non so come mangiare, come pagare le bollette. Da tempo mi stanno aiutando due parroci, ma non lo potranno fare per sempre» spiega.
«Quando sono uscito di galera mi sono ritrovato solo, in mezzo alla via. Non esiste un vero reinserimento per i disgraziati come me». Vicino a lui oggi c’è Anna, una romena che ha dovuto lanciare il proprio lavoro come badante per stargli vicino. «Ho paura a rimanere solo. Il cuore sta facendo cilecca» spiega. «Non buttate la vita per i soldi. Io l’ho capito tardi e ora pago tutte le conseguenze. Ma vi prego: aiutatemi».