di Lucia Bigozzi
AREZZO
"Gli era arrivato l’ultimo mobile nuovo il giorno prima". Un mobile scaricato dal camion quando già un tappeto di nuvole nere circondava Faenza. E che il giorno dopo le acque avrebbero distrutto. Storie di alluvione, storie di fango. Il fango alto che per la terza volta ha colpito al cuore la Romagna. Il fango sul quale solo gli "angeli" volteggiano. "Siamo arrivati con due mezzi, pompe e attrezzi: l’acqua era arrivata nelle case oltre i due metri". Sara Duchi, una vita nella Misericordia, braccia e mente per la protezione civile. Suo marito è uno dei volontari, si chiama Enrico Benigni, insieme hanno scritto una delle tante storie del fiume.
"La gente era stremata e non so dire se anch’io avrei la forza di reagire se per tre volte il cielo mi si voltasse contro". Non lo sa ma lo intuisci: perchè lo sguardo è di quelli che non si appannano. Neanche quando mettono a fuoco la striscia scura che nelle case demarca la zona bagnata, anzi fradicia, da quella più o meno asciutta. "L’acqua aveva invaso il garage, il piano terra e i primi piani: il nostro compito era quello di pomparla fuori e insieme di aiutare le famiglie a buttare quello che era distrutto". Un ruolo dolente, perchè ogni casa ha i suoi affetti, ogni oggetto ha un suo significato. Una selezione pesantissima, tra mobili e armadi distrutti, porte sfondate. "Siamo arrivati di venerdì, il sabato e la domenica è stato difficilissimo tenere su le speranze di chi era stato travolto dal destino". E qui le storie, le piccole storie del fiume. "Una signora mi ha detto che le era arrivato il giorno prima l’ultimo mobile nuovo del salotto". Il simbolo della ricostruzione per l’alluvione che fu. Ha resistito poche ore.
"Non dimenticherò mai gli album delle foto, immagini sbiadite dall’acqua e che era quasi impossibile recuperare", racconta Sara. Ma gli angeli del fango non si arrendono facilmente. Lo sanno quelli che avevano lavorato a Firenze tanti anni fa, lo sanno quelli di oggi. O come Sara e gli altri, chiamati a coordinarne il lavoro tra il fango e l’angoscia. "Ogni giorno dei volontari si presentavano con le pale sulle spalle, dai bambini fino ai più grandi: un piccolo esercito pacifico, non lo dimenticherò mai" sussurra Sara, di ritorno dalla terza alluvione in Romagna. Foto, mobili, ma non solo.
"La cosa che mi ha ferito di più è stata lo sguardo impotente e demoralizzato della gente". Ti svuota dappertutto, figuriamoci in una terra che ha nel suo dna l’ottimismo e la voglia di far festa. Intanto la missione della Misericordia nelle terre dell’alluvione è finita, l’intervento per ora non è stato riattivato. "Ma noi siamo sempre disposti a partire: lo zaino è pronto in un angolo di casa". I nomi di chi è stata con lei nell’ennesima impresa sul fronte delle catastrofi li sa a memoria: Leonardo Giannetti che con Sara è rettore della Misericordia, Filippo della Confraternita di Chitignano, naturalmente il marito Enrico. E su richiesta, li snocciola tutti, perché lo spirito di squadra in questi casi fa la differenza. All’arrivo le foto di rito, il gruppo con le tute ancora fresche di fango fuori della sede della Misericordia, il sorriso di chi ha cercato di fare l’impossibile. Nel cuore altre foto, quelle cancellate dall’acqua, insieme alla memoria di tante famiglie.
E quel mobile, uscito dal cellophane per andare a galleggiare sul filo del grande fiume impazzito.