di Salvatore Mannino
E’ come aver davanti la rotta di Caporetto e non poter immaginare nemmeno una linea del Piave sulla quale difendersi. Già, questo week-end avrebbe dovuto segnare il debutto della Città di Natale e quindi della grande stagione dei consumi delle feste, la più ricca dell’anno, quella senza la quale il sistema commerciale non regge, un terzo grossomodo del fatturato annuale dei negozi. Invece ecco qui: alla prima domenica di zona rossa. col deserto per le strade, le vetrine obbligate a spegnersi, comprese gran parte di quelle che facevano la parte del leone nella Grande Abbuffata, il mercatino dei Tirolesi, un milione di presenze da tutta Italia lo scorso anno, che già da un pezzo aveva alzato bandiera bianca.
Si temeva in queste condizioni un Natale minore, si rischia adesso, senza un miglioramento dei famosi 21 parametri capaci di riportarci fuori dalla zona rossa, un Non Natale. Dire che in ballo ci sono cifre di tutto rispetto, che possono pesare sull’andamento complessivo dell’economia provinciale. Prendiamo la stima del Censis, uno dei centri studi più prestigiosi. La stagione di Natale, dicono gli uomini di Giuseppe De Rita, vale consumi per 25 miliardi su scala nazionale. Il che, riparametrato su Arezzo, significa 120- 150 milioni che in condizioni normali si sarebbero trasformati in spese delle famiglie, fondamentalmente in negozi, supermercati, ipermercati e centri commerciali, oltre a una quota crescente di commercio on line, quello del quale Amazon è quasi monopolista.
Bene, per quanto il clima sia quello mesto della peggior recessione, anzi crollo, del dopoguerra, con un Pil in picchiata di almeno il 10 per cento, i soldi nelle tasche degli aretini, soprattutto dei lavoratori dipendenti, arriveranno comunque: 220 milioni dei 44 miliardi nazionali (la stima è sempre del Censis). Ma dove spenderli se i negozi non dovessero riaprire in tempo utile, vale a dire almeno per l’8 dicembre, la data tradizionale nella quale la kermesse natalizia entra nel vivo?
Inutile farsi troppe illusioni: i dati non lo consentono, specie quelli di ieri che regalano (si fa per dire) a questa provincia il record assoluto di positivi (348, quasi il doppio del giorno precedente e 40 in più del picco precedente). Persino il premier Conte comincia a parlare di un "Natale spirituale", che magari è anche un modo diverso di vivere la più grande festività cristiana, ma che per l’economia aretina è una disgrazia. Quante delle 10 mila attività commerciali aretine sono in grado di resistere senza la Grande Abbuffata? E quanto può pesare questa situazione di blocco dei consumi anche sul sistema produttivo, ad esempio sull’oro e la moda che di Natale vivono?
La ciambella di salvataggio si chiama ovviamente riapertura, almeno in zona arancione, che è brutta ma meglio del niente, eppure tutto dipende dall’appiattimento della curva epidemica. Senza quella si resta fermi al semaforo rosso, di cui il vuoto domenicale è la migliore metafora.
Oddio, qualcuno dei partecipanti alla corsa consumistica delle feste resta in piedi: ad esempio i negozi (e le catene) dell’informatica e degli elettrodomestici, che ad Arezzo contano su un grande nome come Euronics. E anche le vetrine della telefonia più le librerie e le profumerie, altre grandi protagoniste della stagione dei regali. Ma tutto il sistema moda, dall’abbigliamento alle calzature, è già sul chi va là, come il soldato che vede il nemico irrompere nell’accampamento. L’ultima trincea, quella degli sconti del black friday, che già cominciavano a balenare in vetrina, è saltata prima di cominciare. Chi salverà a questo punto il soldato Natale?