Liletta
Fornasari
Se c’è un museo che racconta la storia della nostra città, meglio di ogni altro, poiché per la sua formazione e per la varietà di oggetti riesce a narrare per “capitoli”, dal Medioevo al XIX secolo, lo sviluppo delle arti e dei costumi in Arezzo, è quello oggi denominato Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna e collocato nel meraviglioso palazzo rinascimentale Bruni Ciocchi Del Monte, popolarmente chiamato della Dogana- così detto per avere ospitato i Monopoli di Stato-, a pochi metri da Porta San Lorentino. Esso é diventato statale con un Decreto Ministeriale il 7 ottobre del 1972, sebbene, embrionalmente fosse nato nel 1957, dopo una convenzione stipulata tra il Comune di Arezzo e il Ministero della Pubblica Istruzione, che allora era anche titolare delle cosiddette Belle Arti.
Senza dubbio, come già scritto e detto da molti studiosi, il museo è tra i più interessanti della Toscana nell’ambito ovviamente di tipologie museali analoghe. La ricchezza e la varietà delle sue collezioni, -dalla pinacoteca, alla sezione lapidea, ai bronzetti, alle maioliche, alle oreficerie, alle monete, ai gioielli, alle placchette e alle armi,- frutto della fusione di raccolte di origine e provenienza diverse, dalla cosiddetta Pinacoteca Comunale, dal museo della Fraternita dei Laici, compreso al celebre Collezione Bartolini, e da donazioni di privati collezionisti, da quella Fossombroni, a quella Subiano, a quella Funghini e a quella di Mario Salmi, data in ricordo della moglie Amina Kovacevich Salmi allo Stato Italiano nel 1964 e arricchita per volontà della figlia Lina Magnanelli Salmi con un’ulteriore donazione nel 2010.
Alla genesi del museo, e sottolineo, all’affascinante intreccio di episodi, personaggi, famiglie e luoghi, che ne compone la storia, corrisponde anche la proprietà delle opere in esso conservate. La proprietà è divisa tra lo Stato Italiano, il Comune di Arezzo, la Fraternita dei Laici, l’Accademia Petrarca, il Collegio di Santa Caterina e il Partito dei Democratici di Sinistra. Spetta a quest’ultimo la proprietà di un affresco staccato con la Madonna con il Bambino tra due angeli - cortina, attribuito a Matteo Lappoli (1450-1504), artista aretino quattrocentesco, databile intorno al 1475-1480 e ritrovato in un ambiente adiacente alla chiesa di Sant’Agostino. Il, Pds non esiste più, confluito nel Pd, ma le sue proprietà sono rimaste a fondazioni gestite da dirigenti del vecchio partito.
Nella suddetta convenzione del 1957 si mise fine ad una vexata questio per la gestione delle collezioni derivanti dalla Pinacoteca Comunale, che in grandissima comprendeva opere derivanti dalle Soppressioni napoleoniche e post unitarie degli Ordini Religiosi, nonché quella dalle raccolte della Fraternita dei Laici, che dal 1934 -1935 le aveva date in usufrutto al Comune Oltre al contenuto, di grande effetto è il contenitore attuale, dove le collezioni confluirono nell’immediato dopoguerra.
L’edificio, oggi statale, è stato costruito a partire dal 1445 per volere di Donato Bruni, figlio di Leonardo, noto umanista e cancelliere della Repubblica fiorentina, sostituendo strutture precedenti, appartenenti alla famiglia ghibellina degli Accolti. Il palazzo è poi passato ai Ciocchi Del Monte ed è plausibile ipotizzare che le stanze abbiano ospitato i cardinali Antonio e Giovanni Maria Del Monte, quest’ultimo diventato papa con il nome di Giulio III, nonché figura importante per Giorgio Vasari. Nel Seicento la proprietà del palazzo passò ai Barbolani di Montauto, che fecero costruire lo scalone monumentale, la galleria del piano nobile, dove è ospitata la monumentale tavola di Giorgio Vasari con la Cena di Ester e Assuero, un grande salone, sempre del piano nobile, affrescato con un fregio riconducibile a Giovanni Battista Biondi, seguace del seicentesco Salvi Castellucci. I due grandi saloni che attualmente sono, sia al primo, che al secondo piano, sono stati realizzati durante i lavori di ripristino architettonico del dopoguerra, quando il seicentesco salone unico fu diviso, creandone un secondo anche al secondo piano.
Nel 1816 l’edificio passò al Governo toscano, che volle qui collocare i magazzini del sale, - di cui nel pianterreno ancora si vedono ancora i segni – e gli uffici della Dogana. Il percorso museale si articola in venti sale, che si snodano su tre piani. Nelle sale del pianterreno sono ancora visibili elementi architettonici riconducibili alle costruzioni degli Accolti. Stupenda è la corte d’ingresso, arricchita di colonne con capitelli compositi quattrocenteschi, attribuiti a Bernardo Rossellino. Di ispirazione rinascimentale è anche il giardino pensile, che a livello del paino nobile, si apre sul retro. Ultima e bella aggiunta è la Sala delle Muse, aperta a pianterreno nel 2006, in occasione della mostra dedicata a Piero della Francesca.
Lunga è la lista di capolavori che il visitatore, cercando di contestualizzare ogni opere nell’ambito cittadino, nonché immaginandosi come fosse Arezzo nei secoli passati, può o potrebbe ammirare all’interno. In ogni sezione ci sono opere che, come detto raccontano, sia del passato, che dell’attualità. A tale proposito vorrei ricordare il San Michele arcangelo ritrovato in Fortezza nel 1991. La Fortezza oggi restaurata potrebbe essere collegata al museo. La scultura in arenaria connessa alla storia di Porta Sant’Angelo in Archaltis, interrata nel Cinquecento.
Peccato che per un problema ministeriale il Museo non sia facilmente visitabile. Sempre meglio che niente e siamo tutti d’accordo, ma sempre troppo risicato è l’orario vigente fino a tutto agosto, con aperture di mattina a fasce orarie il martedì e il giovedì, e di pomeriggio, sempre per fasce orarie, solo il mercoledì. Il portone per ogni fascia oraria rimane aperto per cinque minuti, facendo entrare quindici persone che potranno trattenersi solo per un’ora.