
Paola Boncompagni
Arezzo 19 marzo 2022 - Ha iniziato facendo la cantante jazz proprio ad Arezzo "fondamentale è stata Lalla Morini, come una madre per me, mi ha fatto cantare e conoscere artisti come Renato Sellani", già, il pianista e compositore che ha lavorato con Mina, Chet Baker, Lee Konitz, Billie Holiday, Sarah Vaughan, Enrico Rava. Un’esperienza che l’ha vista scrivere articoli e libri sul jazz, due di questi dedicati proprio a Baker e Holiday. E pensare che di artisti suo padre ne conosceva a bizzeffe. Paola porta un cognome aretino, Boncompagni, ma unico come suo padre: Gianni.
Paola Boncompagni è una scrittrice, una giornalista, una cooperatrice, collabora con l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli esteri, con agenzie delle Nazioni Unite e con le Ong. Venti anni di missioni nei paesi poveri e tra i profughi di guerra. Ha visto cose <che nessuno vorrebbe vedere> ma che forse tutti dovrebbero vedere. Durante le ore di viaggio aereo scrive su quaderni e iPad. Pagine che durante il covid ha riordinato e pubblicato nel libro-diario "La terra vista da qui2 (Utet) che presenterà oggi alle 17,30 alla Libreria Feltrinelli di Arezzo intervistata da Fernando Maraghini.
Un ritorno ad Arezzo che è anche la sua città.
"Non ci ho mai vissuto ma ci sono venuta finché sono stati vivi i miei nonni paterni, abitavano in via Salvi Castellucci, li adoravo, e quando non venivamo noi erano loro a raggiungerci a Roma perché mio padre, ormai separato, lavorava tanto e i nonni venivano a stare con noi. Ma le feste, fino a 26 anni le ho fatte qua. Ho dei ricordi bellissimi".
Ma è vero che suo padre aveva un rapporto conflittuale con Arezzo?
<Vero, se ne è andato quando a 17 anni per andare prima in Germania poi a Stoccolma dove ha fatto il fotografo , dove ha scoperto la radio, nel 1960 ha seguito le Olimpiadi per una tv svedese. Poi ha conosciuto e sposato mia madre, Margareta Josephson. Aveva il mito delle donne nordiche. Dopo dieci anni di Svezia diceva che qui le donne erano intoccabili, vestite di nero dalla testa ai piedi. Amava molto al modernità e trovava Arezzo provinciale, ma era troppo affezionato ai suoi amici Lalla e Daniele Morini, Silvano Grandi, Franco Onali, Vito Taverna, tornava per loro>.
Ma anche lei ha preso <il volo> presto.
<A Roma con dei soci siamo stati i primi ad aprire una libreria con sala da tè e postazioni internet. Ho lavorato per Oliviero Toscani per la rivista Colors a Treviso poi ho deciso di scrivere sui rifugiati e di vedere di persona i campi profughi palestinesi. Ho contattato l’Unhcr, la portavoce era Laura Boldrini>.
Da qui la cooperazione, viaggi, missioni, reportage per testate nazionali.
<Ho visto campi profughi nell’Africa Subsahariana e in NordAfrica, in Pakistan, in Afghanistan, tutti gironi dell’inferno, finché non li vediamo non li possiamo immaginare. Ma non tutti sanno quello che fa l’Italia e fa molto sia con missioni umanitarie sia con progetti culturali. In Africa, in Medio Oriente, nel Centro America e nel sud est asiatico facciamo importanti progetti di sviluppo. Per esempio in Etiopia abbiamo portato il cinema tra in zone poverissime e villaggi rurali dove non lo avevano mai visto, film muti di Chaplin come <La febbre dell’oro> abbinati a filmati per convincere le famiglie a mandare le bambine a scuola, perché di solito si occupano dei fratelli o lavorano nei campi>.
Italia in prima fila anche per i progetti culturali.
<Siamo ricercatissimi da decenni in tutto il mondo per la salvaguardia del patrimonio storico artistico. Ci hanno chiamati per restaurare la cittadella di Damasco, per sviluppare il masterplan del museo egizio e Beirut, in Cambogia abbiamo preparato archeologi con l’Università di Palermo per salvare i templi di Angkor Wat. In Mauritania stiamo salvando quattro biblioteche con preziosi manoscritti conservate in quattro città medievali perse nel nulla, volumi di finissima fattura e di inestimabile valore minacciati da clima, insetti, calore. Tecnici italiani hanno aperto cinque laboratori e stanno insegnando restauro e conservazione>.
E’ appena tornata dal Sudan.
<Un mese fa. Un paese disastrato dopo la prima guerra civile del 1955, trent’anni di dittatura, la rivoluzione che ha destituito Bashir, il colpo di stato, il covid, una povertà infinita. Sono rimasta impressionata. Sono in corso progetti sanitari italiani dell’Aics messi a punto con Ong italiane che collaborano con l’Aispo, l’Associazione italiana per la solidarietà tra i popoli legata al San Raffaele di Milano che ha portato tantissimi medici in aree di crisi. Qui hanno riabilitato la maternità dove le donne venivano fatte partorire con ferri chirurgici arrugginiti, hanno ristrutturato in stile europeo nove sale operatorie. I progetti sono mirati alla salute femminile, in Sudan credono che il tumore sia contagioso, le donne malate vengono isolate e si lasciano morire. Ora ci sono campagne di prevenzione, mammografia e radioterapia>
Ma anche scenari di guerra.
<Negli ultimi 20 anni la situazione nei campi profughi è peggiorata e i rifugiati continuano ad aumentare, come le guerre. I rifugiati sono un prodotto delle guerre, scappano dalla morte, dalle persecuzioni, da condizioni di vita inaccettabili, bussano alle nostre porte ma noi neghiamo l’accesso, l’Europa è una fortezza. E noi italiani siamo tra i migliori. La guerra andrebbe abolita, come ha detto Gino Strada, tutti i disastri vengono dalle guerre>.
Torniamo ai suoi ricordi di bambina, ad Arbore, a Raffaella Carrà, ai tanti amici artisti, ad anni che ci sembrano ineguagliabili.
<Mio padre e Raffaella volevano comprare una casa in centro ad Arezzo mai poi la cosa non è mai stata realizzata, volevano anche comprare un terreno con vecchi casale a Sinalunga. In casa c’era sempre tanta allegria. Erano gli anni dei grandi successi, della radio di Alto Gradimento, della tv, del Tuka Tuka e di Rumore. Arbore era lo zio, e tuttora lo è. Veniva a casa e per scherzo ci faceva credere di avere un fratello gemello di nome Giuseppe e tutte le volte ci chiedeva se era lui o Renzo. Una sera vennero Mogol e Battisti, mio padre lavorava alla radio e si fidavano della sua esperienza da discografico, avevano appena scritto una canzone e volevano fargliela ascoltare per primo, erano eccitatissimi, la cantarono a due voci, era ‘Pensieri e parole’. Io e le mie sorelle eravamo in pigiama. Un momento epocale, era meravigliosa, rimanemmo tutti a bocca aperta>.