LUCIA BIGOZZI
Cronaca

"Mio nonno ebreo fuggì Ora ospito Alona e il figlio"

Alice: "Per questo quando è scoppiata la guerra non potevo restare a guardare" "Mia figlia chiama il padre babbo, non fa sentire al piccolo l’assenza del suo"

di Lucia Bigozzi

Alice e Alona sono due giovani donne che hanno messo in comune l’essere madre e i figli, in un’esperienza che va oltre l’accogliere e l’essere accolto. "Quando è scoppiata la guerra non me la sono sentita di stare a guardare, ho deciso di rendermi attiva e di insegnare alle mie bambine che nel mondo non c’è solo il male e che il male si può combattere facendo del bene, nel proprio piccolo", spiega Alice a passeggio nel giardino di casa insieme ad Alona, 36 anni, fuggita da Kharkiv con il figlio, Platon di 6.

La casa di campagna nelle colline tra Monte San Savino e Civitella, è un piccolo "paradiso" dove la primavera ha fretta di sbocciare, come i progetti di Alona che a Kharkiv lavorava in un salone di bellezza e "non vede l’ora di ricominciare qui, vuole trovarsi subito un lavoro per recuperare la sua autonomia" e le aspettative di Alice che sperimenta giorno per giorno "una convivenza tutta da costruire, ci si aiuta, ognuno trova il suo spazio, ci stiamo conoscendo. Oggi Alona ha deciso di cucinare per tutti un piatto ucraino a base di patate e noi siamo curiosi di assaggiare, è una contaminazione di tradizioni e umanità".

Per lei e la madre Debby, milanesi con la cultura dell’altro nel dna e una storia DI famiglia che le ha segnate – il nonno ebreo durante la seconda guerra mondiale è fuggito dalle persecuzioni naziste riparando in America –, accogliere è ciò che si deve fare, "sappiamo cosa significa la guerra, dover abbandonare tutto in 5 minuti e ritrovarsi in un Paese sconosciuto con gente che non hai mai visto, dove provare a ricominciare", ragiona Alice. Con Alona si intende masticando inglese e compulsando su Google translator.

Alle sue bambine di 3 e 6 anni ha spiegato "cosa sarebbe successo con l’arrivo degli ospiti ucraini. La figlia più grande all’inizio era preoccupata per la lingua e ha chiesto dove fosse il papà di Platon. Le ho risposto che era rimasto a Kharkiv senza specificare il motivo: da quel momento non ha più chiamato suo padre ‘papà’, troppo simile alla stessa parola in ucraino. Lo ha fatto per non ferire Platon; ha scelto il toscanissimo babbo… I bambini si sono intesi subito, giocano, si rincorrono nel prato, spesso le parole non servono. Tuttavia, ci sono momenti in cui Platon si mette in disparte con il telefonino della madre e i videogiochi, forse lo distraggono da ciò che ha vissuto".

A Monte San Savino Alona e Platon sono al centro di mille attenzioni, "le persone si avvicinano e ci chiedono come possono aiutare mamma e figlio, c’è un clima molto bello". Alice cerca di orientarsi nella "giungla" delle pratiche burocratiche per la registrazione degli ospiti e si aspetta "più collaborazione dagli enti locali". Procede spedito, invece, l’iter per l’inserimento scolastico: a giorni Platon andrà alla materna di Badia al Pino, un primo obiettivo raggiunto- La preside Iasmina Santini "è un punto di riferimento importante". Alona è già proiettata alla nuova vita, "convinta che a Kharkiv non ci saranno prospettive per la sua famiglia, anche quando la guerra finirà, la gente dovrà ricostruire e non avrà soldi o tempo per andare in un salone di bellezza". Visagista e manicure, un diploma in psicologia "conseguito durante la pandemia quando il negozio era chiuso, poi la guerra…". Alona non si ferma e riparte da qui.