LUCA AMODIO
Cronaca

Mengo, il bilancio dei vent’anni. Paco carica: "Azzardiamo di più e facciamo squadra sul festival"

L’organizzatore Mengozzi esalta i risultati di questa edizione e lancia un messaggio forte alla città "Non siamo in un sistema integrato che funziona e ci fermiamo troppo all’esistente: sperimentiamo".

Mengo, il bilancio dei vent’anni. Paco carica: "Azzardiamo di più e facciamo squadra sul festival"

Un momento più intimo e poetico. In questo modo, alle prime luci dell’alba, il Mengo Music Fest ha chiuso la ventesima edizione. Lo ha fatto sulle note di Paolo Benvegnù, indiscusso artista del cantautorato italiano, molto legato alla città di Arezzo, fresco della vittoria della Targa Tenco per il Miglior Album in assoluto con "E’ inutile parlare d’amore". Per lui l’abbraccio di quasi quattrocento aretini che si sono svegliati con i suoi pezzi.

Paco Mengozzi, il Mengo spegne 20 candeline: 20 anni fa si aspettava di arrivare ad un festival come questo?

"Sinceramente no. Quando tutto è nato, è partito spontaneamente nel parchetto di Via Alfieri, non c’era una finalità già definita. C’era la voglia di un gruppo di ragazzi di suonare, fare musica e mettersi in mostra in un palco. Abbiamo voluto creare uno spazio e fare rete con tutti i ragazzi che pullulavano nelle sale di registrazioni e negli studi. Non ci immaginavamo di arrivare ad un festival di diversi giorni. Oggi quei tanti ragazzi sono cresciuti come professionisti della musica".

La novità dell’anno è stato il concerto all’alba con Benvegnù. Qual è stata la risposta della città?

"Volevamo dare qualcosa di diverso dopo una scorpacciata di musica di cinque giorni: quest’anno abbiamo bilanciato la gratuità del festival con una grande proposta musicale sviluppata in cinque serate. L’approccio festoso della sera è così culminato con qualcosa di più intimo, che toccasse le corde delle persone: ecco che è nata questa formula nuova, poetica, in una location bellissima come la Fortezza di Arezzo. E qui la scelta di Paolo Benvegnù è stata spontanea".

Qual è il ricordo più bello che custodirà dell’edizione 2024?

"Difficile. Ancora c’è da razionalizzare. La prima serata con quella sonorità anni ‘90, legata al Sud del mondo; ma anche il concerto di ieri con Cosmo che fu proprio l’artista che nel 2018 chiuse la prima nostra edizione al Prato, un’edizione delicata per noi ma che anche grazie a lui fu un grande successo. E poi ci sono tantissimi momenti legati a giovani come Capaleo, nipote di Pupo con proprio lui in prima fila a sostenerlo".

Spesso si dice che Arezzo non è una città per giovani. Questi giorni la raccontano diversamente: cosa insegna il Mengo?

"Il Festival dimostra che la città, in termini di risposta e di potenziale, è ricchissima. E’ un terreno fertile per costruire progetti, è un laboratorio che può dare ottimi risultati. Dall’altro, purtroppo come città siamo bravi a ‘sprecare’ occasioni, perché non sempre il nostro potenziale viene sfruttato. Ancora non siamo in un sistema integrato che funziona, occorre fare più gioco di squadra. La musica live, i concerti, i festival, sono un volano per tutta Arezzo, per la sua promozione, perché mette in moto anche tutto il tessuto commerciale della città e può raccontare il nostro territorio al mondo".