SALVATORE
Cronaca

Marzo 1921, nasce il vero fascismo aretino Mix di ragazzi esaltati e ceti medi emergenti

La notizia su La Nazione del 13. Il primo segretario è Alfredo Frilli, ex socialista che si brucerà contro il ras valdarnese Dario Lupi

Marzo 1921

Salvatore

Mannino

I

Il fenomeno politico che avrebbe cambiato l’Italia per vent’anni si annunciò ad Arezzo con un semplice trafiletto di cronaca de La Nazione, il 13 marzo 1921, cent’anni fa esatti. "Ad iniziativa di un comitato provvisorio- recitava la breve pubblicata nella pagina di Arezzo del nostro giornale - ieri sera sabato si è costituito il Fascio di Combattimento". Il tanto temuto e invocato fascismo, dunque, che incubava almeno dall’autunno precedente, da quando a Montevarchi era nato il fascio locale, il primo della provincia, "notoriamente favorito da quella sottosezione dell’Associazione Agraria", come chiosava il prefetto Giannoni nella sua relazione al ministero dell’Interno, da quando, fra novembre e dicembre, i Fatti di Palazzo d’Accursio a Bologna e quelli del Castello Estense a Ferrara avevano introdotto nel paese la violenza come strumento ordinario di lotta politica, da quando lo squadrismo aveva cominciato a dilagare in tutta la pianura padana e poi, sotto l’Appennino, nel resto della Toscana.

Il trafiletto de La Nazione, a dire il vero, è un po’ più lungo delle due righe in cui l’abbiamo riassunto, ma nè quello nè il rapporto al ministero dello stesso prefetto Giannoni ci spiegano di più di chi fossero i protagonisti di questo fascismo tardivo (fra gli ultimi a sorgere in Toscana) ma destinato a divampare con infinita violenza, soprattutto ad opera degli squadristi di fuori provincia, nel giro di un mese o poco più. A chi l’ha studiato pare che esso fosse la somma di tre componenti fondamentali, tra loro distinte ma che se non si fossero combinate tra loro in una miscela eslosiva non avrebbero mai dati gli stessi risultati.

Il primo gruppo è quello dei ragazzi che venivano dal Fascio Giovanile di azione liberale, sorto già da qualche mese per iniziativa entusiastica di alcuni studenti delle scuole superiori e che già aveva pagato sulla propria pelle l’inaudita violenza di un momento politico drammatico. Il 27 gennaio, infatti, alla notizia dell’incendio del giornale socialista fiorentino La Difesa, ad opera degli squadristi, gli operai del Fabbricone si erano riversati in centro e poi la folla aveva dato l’assalto al Fascio Liberale, già sospetto di simpatie fasciste, riducendolo a un cumulo di rovine bruciate e fumanti. La risposta era stata una bomba fatta esplodere dentro la sede della Camera del Lavoro "rossa", allora in piazza Guido Monaco, con la polizia che aveva chiuso tutti e due gli occhi.

I "fascisti liberali" erano ragazzo entusiasti, fra i 18 e i 20 anni, troppo giovani per aver fatto la guerra ma che vedevano nell’assalto alle sedi rosse la prosecuzione "eroica" dei combattimenti di trincea. Crociati che credevano di combattere per una giusta causa, contro i "non uomini" socialisti e comunisti. In breve sarebbero diventati loro il nerbo dello squadrismo aretino, prova ne sia il prezzo di sangue che pagarono fin dai fatti di Renzino, il 17 aprile: Aldo Roselli, studente di ragioneria, ucciso, il protomartire del fascismo locale, il simbolo della sua religione politica, Bruno Dal Piaz gravemente ferito. Non è un caso che ancor oggi il nome di Roselli sia scolpito nella lapide che ricorda i morti in guerra dell’istituto "Buonarroti", in piazza del Popolo, quasi a rivendicare una continuità ideale col conflitto.

La seconda componente, la più significativa dal punto di vista politico, è quella che traeva origine dal Fascio della Nuova Italia, quanto di più simile Arezzo abbia conosciuto di vicino al fascismo sansepolcrista delle origini, guidata da Alfredo Frilli, primo segretario del fascio appena costituito e primo segretario provinciale, protagonista del partito-milizia fino allo scontro "mortale" con l’onorevole Dario Lupi, capo del fascismo valdarnese, che gli sarebbe costato la carriera ma la cui eco si avverte per tutta la parabola ventennale del fascismo aretino.

Maestro e poi ispettore scolastico, Frilli era nato socialista, come Mussolini, propagandista instancabile di fine ’800 fino alla clamorosa conversione di inizio secolo che l’aveva portato sulle sponde costituzionali. Giunto ad Arezzo da Firenze intorno al 1910, era stato uno dei grandi animatori del fronte interno durante la guerra. Nel 1919, dal suo feudo dell’associazione degli impiegati pubblici, aveva contribuito a creare, insieme all’avvocato ex radicale Andrea Bizzelli, il Fascio della Nuova Italia, creatura politica tanto ambiziosa (e di invocato rinnovamento democratico) quanto di scarso appeal elettorale, tanto che nell’autunno 1920 era stata esclusa dalla coalizione liberaldemocratica-combattentestisca che aveva conquistato il Comune, stoppando i socialisti.

E’ appunto in questo ambiente di ceto medio piccolo-borghese, malcontento della maggioranza di Palazzo Cavallo ma al tempo stesso ferocemente anti-rosso, che matura il fascismo aretino, visto come la carta per rovesciare gli equilibri politico-sociali consolidati. Mentre nelle campagne monta la rabbia contro socialisti e comunisti dei ceti medi agrari, quelli che al contrario dei grandi proprietari, chiusi nei loro palazzi aristocratici, fiorentini e aretini, sentono addosso il fiato delle lotte mezzadrili e fra i quali affiora la paura atavica di perdere la terra, sentimento fondamentale nell’adesione al fascismo e allo squadrismo.

Il terzo gruppo da cui germoglia il fascio è quello di una minoranza dell’associazione combattenti, altro fenomeno chiave della politica del primo dopoguerra, quella legata a personaggi come Alfredo Aratoli, già socialista mussoliniano del ’14 e con lui uscito dal partito per confluire nell’Interventismo, che sarà l’ultimo segretario federale di stampo frilliano. Quel sabato 12 marzo, sono ancora componenti allo stato liquido, ma ci vorrà poco a farne la forza politica chiave: le sinistre in crisi per la scissione di Livorno saranno ben presto liquidate, il 17 aprile 1921, dopo Renzino, non esisterà ad Arezzo che un solo, vero padrone della politica: il fascismo appunto.