
Martina, i genitori chiedono maxirisarcimento Ma ora spunta anche il giallo della ringhiera
di Alberto Pierini
Sono appesi alla ringhiera. Per mesi avevano sperato e forse creduto di poter uscire indenni da questa vicenda che dal 2011 li insegue ovunque siano: uno, Albertoni, sui circuiti di motocross, sport del quale è stato perfino campione italiano. L’altro, Luca Vanneschi, nell’attività edile che è anche l’azienda di famiglia. Ma alla fine è scattata la condanna: condanna a tre anni per tentata violenza sessuale. Su Martina Rossi, una splendida ragazza di 20 anni, morta precipitando da quell’albergo, men tre fuggiva da quella violenza. E si erano presentati in carcere spontaneamente, per uscirne da allora solo di giorno e per lavorare, secondo il regime della semilibertà. Ora sono appesi alla ringhiera. Anzi, all’altezza della ringhiera della camera, la 609 dell’albergo Santa Ana di Palma di Maiorca.
Cosa succede? I genitori di Martina hanno avviato la causa civile: ed è una causa che può fare male ai due giovani, perfino più della condanna penale. Perché in ballo c’è una richiesta di un milione e quattrocentomila euro. E sotto quella spada di Damocle ecco la mossa della ringhiera. Studiata dai loro avvocati, Tiberio Baroni per Albertoni e Stefano Buricchi per Vanneschi.
Che hanno chiesto di poter citare nella causa i titolari dell’albergo: ed è un’opzione accolta dal giudice Fabrizio Pieschi.
La sintesi? In fondo semplice. La condanna è arrivata per tentata violenza sessuale. Non per la morte che da quella violenza, sul filo della logica giudiziaria, sarebbe stata provocata, spingendo Martina a fuggire e quindi a precipitare sul selciato sotto l’albergo di Palma di Maiorca. Erano stati condannati in prima battuta a sei anni anche per questo, la morte come conseguenza di altro reato. Per poi essere assolti in appello e di nuovo condannati in cassazione. Ma a quel punto il reato collegato era già stato prescritto, in piedi rimaneva la sola tentata violenza.
Ora sulla morte gli avvocati provano a coinvolgere nella causa civile anche l’albergo. Se l’altezza della ringhiera non era a regola, è l’ipotesi, anche quella può essere stata almeno una concausa della morte. Perché in caso contrario a rischiare sarebbe stato chiunque si fosse spinto sull’orlo, qualunque ne fosse il motivo.
Un fronte a sorpresa, sullo sfondo di una vicenda che strazia da dodici anni una famiglia di Genova: i genitori di Martina, Bruno e Franca. Provati dal dolore ma a con una determinazione impressionante nell’obiettivo di avere giustizia., "Nessuno mi ridarà mai Martina – ha commentato spesso il padre della ragazza – ma sono l’unico insieme a sua madre a poterne difendere la memoria". Lo hanno ripetuto perfino di fronte alla condanna dei due imputati e poi alla loro uscita dal carcere, pur limitata alle ore diurne, grazie al regime della semilibertà.
"Loro scontano tre anni e vanno fuori, noi siamo condannati all’ergastolo" disse Bruno in quelle occasioni. L’ergastolo di una ragazza perduta per sempre, l’ergastolo di una vita stravolta da quella notte al di là del mare.
Da ora partono i contatti con la Spagna, per completare la citazione che il giudice ha autorizzato. Mentre le difese dovranno ora rafforzare la tesi con degli elementi tecnici. Sfefano Buricchi si era già avventurato a suo tempo in un passaggio acrobatico da un balcone all’altro, quando ancora puntava all’assoluzione dei due giovani.
Ora quell’obiettivo non c’è più, resta il traguardo di alleggerirne il carico sul fronte civile. Tra gli scenari c’è anche quello di eventuali perizie proprio sulle caratteristiche di quella ringhiera, alla quale la difesa è appesa.